Visualizzazione post con etichetta LETTURE CONSIGLIATE. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta LETTURE CONSIGLIATE. Mostra tutti i post

domenica, settembre 29, 2024

La lingua latina e le altre

Come parlavano gli Antichi Romani?
Io invece ti dirò come NON parlavano gli antichi romani: non parlavano il latino.




Sorpreso? Non dovresti esserlo. Ragioniamoci un po’ sopra: i romani hanno conquistato gran parte della penisola italiana già in epoca repubblicana. Sconfitti gli Etruschi, sottomessi altri popoli meno potenti come gli Osci e i Volsci, la lingua del Lazio, ovvero il latino, si diffonde in tutta la penisola romanizzata. Sicuramente questa lingua non era un monolito ma un “continuo dialettale”: è difficile credere che in tutto il Lazio del V secolo A.C. tutti parlassero la stessa identica lingua, dato che questo non accade neanche oggi. E la lingua latina parlata nell’Italia romana certamente si è diversificata e arricchita grazie al (o per colpa del) contatto con le lingue non latine parlate dai popoli romanizzati, generando nuovi dialetti e lingue locali nell’Italia centro-meridionale.

Il grande limite all’espansione romana fuori dalla penisola viene superato dopo oltre un secolo di guerre, con la sofferta vittoria sui Punici, che dominavano il Mediterraneo e avevano colonie lungo tutte le sue coste, dall’odierno Libano fino a Gibilterra e perfino sull’oceano Atlantico. Vinti i Punici, Roma conquista prima la Sardegna e la Corsica (III secolo A.C.) poi la costa mediterranea dell’Iberia e le isole Baleari (II secolo A.C.). Da questo punto in poi l’espansione romana in Europa e nord Africa è incontenibile.

Ma dal punto di vista linguistico la cosa più interessante è evidente da quello che è rimasto oggi da queste conquiste: le lingue locali non latine sono scomparse totalmente dai paesi conqustati dai romani (con l’eccezione del basco); tutti i popoli sottomessi ai romani hanno cominciato a parlare lingue e dialetti derivati dalle lingue parlate nel Lazio, adattati alle parlate locali, contaminati dalle lingue preesistenti, e certamente dalle parlate dei romani che hanno fisicamente conquistato e governato questi nuovi territori. Le lingue generate dalla romanizzazione di questi primi territori conquistati sono tantissime: conosciamo lo spagnolo, il portoghese e il francese, ma ci sono il galiziano, il catalano, il sardo, l’occitano, e tante altre che vengono chiamate spesso “dialetti” ma che dialetti non sono affatto. Queste lingue sono tutte diverse ma hanno chiaramente una matrice comune, che si ritrova nella grammatica, nel lessico e nella pronuncia. Ma derivano davvero dal latino?

Vediamo cosa hanno in comune queste lingue che il latino non ha:

tutte possiedono gli articoli determinativi, che nel latino mancano del tutto. Gli articoli determinativi hanno due origini precise: la parola “illum” che ha generato gli articoli dell’italiano, del francese e del castigliano, e la parola “ipsum” che ha generato gli articoli del sardo e del catalano antico,
nessuna (eccetto il rumeno) possiede il genere neutro, che in latino invece esiste,
nessuna (ancora una volta, eccetto il rumeno) usa le declinazioni, se non in modo “embrionale” (io, me, mi; tu, te, ti…), che in latino esistono e sono una parte fondamentale della grammatica,
tutte fanno il plurale aggiungendo una “s” al singolare, senza eccezioni fuori dalla penisola italiana e della Romania, mentre in latino il plurale ha regole complesse, parzialmente conservate nell'italiano e nella maggior parte delle lingue della penisola italiana
tutte fanno esteso uso di preposizioni per sostituire i casi: in italiano, come sappiamo dalle elementari, queste sono di, a, da, in, con, su, per, tra, fra, nelle altre lingue romanze sono diverse ma molto simili. In latino queste preposizioni esistono, ma il loro uso è limitato, dato che la declinazione dei sostantivi permette di farne a meno.
tutte costruiscono il futuro aggiungendo "avere" al verbo, in modo più o meno trasparente. In italiano "farò" è una forma non trasparente di "fare ho" inteso come "ho da fare". In sardo è rimasto "appo a faghere" cioè "ho da fare" in modo perfettamente trasparente.
Tutte queste caratteristiche straordinariamente simili in tutte le lingue romanze moderne, fanno sospettare una origine comune. E’ molto difficile giustificare la convinzione diffusa che le lingue romanze siano nate solo nel medioevo, con il graduale declino del latino come lingua parlata. Se così fosse accaduto, in un’Europa dove già si parlasse il latino in posti lontani fra loro come Reims e Catania, Lisbona e Bucarest, sarebbe impossibile che le caratteristiche elencate sopra si potessero sviluppare indipendentemente e così sorprendentemente uguali in luoghi tanto diversi.

Ma è anche difficile ipotizzare che ci sia stata una comunicazione linguistica che ha coinvolto tutti i paesi di lingua romanza, tanto forte da unificarne le caratteristiche grammaticali su caratteri non latini. Se questo si può ammettere per la parlata di popolazioni vicine e che commerciavano assiduamente fra loro, come i popoli della penisola italiana e quelli dell’Iberia, ciò non si può certamente estendere a tutta l’Europa latinizzata.

Resta una sola spiegazione: esisteva, fin dal III secolo A.C. e certamente anche prima, una lingua diversa dal latino (inteso come “latino classico”, quello insegnato a scuola) che veniva parlata comunemente, tanto da evolvere nelle lingue parlate nelle provincie romane, e infine nelle lingue romanze moderne, e che conviveva con il latino “classico”, quello che oggi chiamiamo latino.

Questa lingua la possiamo chiamare “latino volgare” ovvero il latino (inteso come lingua del Lazio) parlato dal volgo, dal popolo. Era certamente parlata dalla gente comune, ovvero dalla grande maggioranza dei romani, ed era certamente suddivisa in molti dialetti, non essendo una lingua scritta né codificata nella grammatica, nel lessico e nella pronuncia. Anzi, per dirla tutta, il "latino volgare" non è altro che una comoda denominazione collettiva per raccogliere insieme tutti i dialetti della romanità eccetto il latino cosiddetto "classico".

Il latino volgare non appariva nella letteratura, se non sporadicamente, perché i suoi parlanti non consumavano né producevano letteratura, essendo in gran parte analfabeti. Ma era certamente parlata a molti livelli: non solo dai braccianti agricoli e dai lavoratori di basso rango nelle città, ma da commercianti e militari, burocrati e pubblici dirigenti, altrimenti non avrebbe potuto lasciare tracce così forti come sono tutte le lingue neolatine esistenti oggi. Infatti una lingua “volgare” parlata solo da braccianti e manovali non avrebbe potuto dare origine a tutte (tutte!) le lingue romanze che esistono in Europa, mentre il latino “classico” non ne ha generata nessuna (con il dubbio caso del rumeno). Certamente nelle provincie i romani non potevano parlare altro che il volgare con i popoli locali a tutti i livelli: lavoro, comando, giustizia, burocrazia e commercio.

E il latino classico? Era la lingua della letteratura e della burocrazia, della legge e della religione. Era una lingua scritta, colta, usata da pochi o da nessuno nelle relazioni quotidiane con gli altri. Si può pensare che chi parlava latino fosse fluente anche in almeno un dialetto volgare, e che, ad esempio, un senatore, recitasse le sue orazioni in latino classico, ma poi, fuori dalle aule del Senato, parlasse volgare con i suoi pari, così come non tanti anni fa, e a volte ancora oggi, un avvocato siciliano o romagnolo avrebbe pronunciato in italiano la sua arringa in tribunale, per poi passare alla lingua locale, il cosiddetto “dialetto”, fuori dall’aula, per parlare informalmente con i colleghi.

E come nell’Italia dell’unione non c’era nessuno che parlasse solo, esclusivamente italiano, è difficile pensare che nella Roma repubblicana, e nei territori romanizzati, ci fosse qualcuno che parlava solo, esclusivamente latino classico. La situazione più verosimile è quella di una “diglossia” in cui le persone più colte parlavano almeno due lingue: un dialetto volgare e latino classico, mentre il volgo parlava solo latino volgare, o al più aveva una conoscenza passiva del latino classico: lo capiva senza essere capace di parlarlo.

Chi ha più di cinquant’anni e ha vissuto in un ambiente rurale, o almeno lontano dalle grandi città italiane, conosce certamente questa situazione: in un piccolo paese italiano, dovunque, dalla Sardegna al Friuli, dalla Val d’Aosta alla Puglia, tutti parlavano la lingua locale, e solo alcuni sapevano parlare bene l’italiano. Per uno straniero che parlasse solo italiano la comunicazione era difficile, ma non impossibile dato che molte persone capivano l’italiano pur senza parlarlo. Nelle zone di frontiera non era raro imparare tre o quattro lingue fin dall’infanzia. Il mono-linguismo limitato alla lingua ufficiale della Nazione, che è la norma oggi, solo pochi decenni fa era una rarità. Se uno parlava una sola lingua, questa era certamente la lingua locale, o dialetto, o volgare, e non l’italiano. Non c’è motivo di credere che le cose fossero molto diverse negli stessi luoghi, 2500 anni fa.

La storia di Jasper Maskelyne by Ioannis

Persone insospettabili hanno mai cambiato le sorti di una guerra?
Perché ho lo stimolo di urinare quasi ogni ora durante la notte? Mi devo preoccupare? (nel caso servisse l'informazione, l'urina è quasi trasparente)
Da un po' di tempo a questa parte non riesco più a trattenere la pipì e rischio sempre di farmela addosso, quale potrebbe essere la causa?
Quale immagine fa riflettere sulla vita?
Chi fu un eroe italiano pressoché dimenticato da tutti?

LUCA GUALA   da QUORA

lunedì, luglio 22, 2024

Il vecchio e il mare





[  Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo di nome Manolo, ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo aveva ubbidito andando in un'altra barca dove prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all'albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand'era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne.]

Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che l'amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna. Alcuni fra i pescatori più giovani ne parlavano come di el mar al maschile. Ne parlavano come di un rivale o di un luogo o perfino di un nemico. Ma il vecchio lo pensava sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane o malvagie era perché non poteva evitarle.
Guardò il mare e capì fino a che punto era solo, adesso. Ma vedeva i prismi dell'acqua scura profonda, e la lenza tesa in avanti e la strana ondulazioni della bonaccia. Le nuvole ora si stavano formando sotto l'aliseo e guardando davanti a sé vide un branco di anatre selvatiche stagliarsi nel cielo sull'acqua, poi appannarsi, poi stagliarsi di nuovo, e capì che nessuno era mai solo sul mare.
Il vecchio aveva visto molti pesci grossi. Ne aveva visti molti che pesavano più di quattro quintali e mezzo e ne aveva già presi due di quelle dimensioni in vita sua, ma non era mai stato solo. Ora, da solo e in pieno mare aperto, era legato al pesce più grosso che avesse mai visto e di cui avesse perfino sentito parlare, e aveva la mano sinistra ancora serrata come la morsa degli artigli di un’aquila.
"Mezzo pesce" disse. "Tu che sei stato un pesce. Perdonami di essere andato troppo al largo. Ho mandato in malora tutti e due. Ma abbiamo ucciso molti squali, tu e io, e ne abbiamo mandato in malora molti altri. Quanti ne hai uccisi tu, vecchio pesce? Non hai certo quella spada sulla testa per niente."
"L’ho ucciso per autodifesa” disse il vecchio ad alta voce. “E l’ho ucciso bene.” E poi, pensò, tutti uccidono tutti gli altri in un modo o nell’altro. La pesca mi uccide proprio come mi dà da vivere. È il ragazzo a darmi da vivere, pensò. Non devo esagerare a ingannare me stesso.

Ernest Hemingway, da Il vecchio e il mare - Traduzione di  Fernanda Pivano

lunedì, giugno 24, 2024

BIOPLASTICA ? LA PAROLA AL "libro bianco di Eppendorf"

 17 GIUGNO 2024 09:15 PDT

La bioplastica spiegata: quanto bio ci si può aspettare dalla plastica

SPONSORIZZATO DA: Eppendorf



In un mondo che preme verso la sostenibilità, il passaggio dalle tradizionali plastiche a base fossile alle alternative a base biologica sta guadagnando slancio. Comprendere le complessità di questi materiali è fondamentale per la loro efficace integrazione, soprattutto in ambienti sensibili come i laboratori. Il libro bianco di Eppendorf, scritto dalla Dott.ssa Kerstin Hermuth-Kleinschmidt di NIUB Sustainability Consulting, approfondisce il campo delle plastiche a base biologica, offrendo una prospettiva chiara e scientifica sulla loro applicazione e sull'impatto ambientale.

Intitolata "La bioplastica spiegata: quanto 'bio' puoi aspettarti dalla plastica?", questa guida completa demistifica le varie categorie di plastica a base biologica, evidenziandone vantaggi, limiti e idoneità all'uso in laboratorio. Il libro bianco esplora le definizioni essenziali e le sfumature tra plastica di origine biologica, biodegradabile e compostabile, garantendoti di prendere decisioni informate in linea sia con le tue esigenze scientifiche che con gli obiettivi di sostenibilità.

Perché leggere questo libro bianco?

Chiarezza sulle definizioni: comprendere cosa significa realmente bioplastica, comprese le distinzioni tra materiali di origine biologica, biodegradabili e compostabili.

Applicazioni di laboratorio: scopri perché alcuni tipi di bioplastica sono più adatti all'uso in laboratorio rispetto ad altri e perché le varianti biodegradabili potrebbero non essere la scelta migliore.

Approfondimenti sulla sostenibilità: ottieni informazioni su come l'utilizzo della plastica di origine biologica può ridurre significativamente le emissioni di CO2 e la dipendenza dalle risorse fossili, contribuendo a un ambiente di laboratorio più sostenibile.

Prospettive future: guardare oltre le applicazioni attuali ed esplorare come la ricerca e le innovazioni in corso nel campo delle bioplastiche potrebbero trasformare ulteriormente la sostenibilità nei laboratori.

Questo white paper è una risorsa indispensabile per i responsabili dei laboratori, i responsabili della sostenibilità e chiunque sia coinvolto nell'approvvigionamento di materiali di consumo da laboratorio e si impegni a ridurre l'impatto ambientale senza compromettere la qualità o le prestazioni.

Hai sbloccato questo Libro bianco!
Per accedere permanentemente e gratuitamente a questo White Paper, compila il breve modulo sottostante.

Accedi al Libro bianco

HAI GIÀ ACCESSO A QUESTO EBOOK? REGISTRAZIONE



venerdì, maggio 17, 2024

la storia dell'uomo-orso






Una mattina di primavera un Cherokee di nome Turbine salutò la moglie e lasciò il villaggio, diretto alle Montagne Fumose per cacciare selvaggina. Nella foresta vide un orso nero e lo ferì con una freccia. L’orso si volse e cominciò a fuggire, ma il cacciatore lo inseguì lanciando una freccia dopo l’altra contro l’animale, senza però riuscire ad abbatterlo. Turbine non sapeva che quest’orso possedeva segreti poteri e sapeva parlare e anche leggere i pensieri delle persone. Alla fine l’orso si fermò, si tolse le frecce dal corpo e le diede a Turbine. «È inutile che me le lanci» disse. «Non puoi uccidermi. Vieni piuttosto con me, e ti farò vedere come vivono gli orsi.»Quest’orso potrebbe uccidermi” disse Turbine fra sé, ma l’orso gli lesse nel pensiero e disse: «No, non ti farò del male». “Come potrò procurarmi qualcosa da mangiare se vado con quest’orso?” pensò Turbine, e l’orso seppe ciò che pensava il cacciatore e lo rassicurò: «Ho molto cibo».

Turbine decise di seguire l’orso. Camminarono finché giunsero a una caverna nel fianco di una montagna, e l’orso disse: «Io non abito qui, ma qui ci riuniamo a concilio noi orsi, e tu potrai vedere quello che facciamo». Entrarono nella caverna, che diventava più grande man mano che vi si inoltravano, tanto che alla fine era vasta quanto una tenda comune dei Cherokee. Era piena di orsi, giovani e vecchi, bruni e neri, e un enorme orso bianco era il loro capo. Turbine sedette in un angolo, accanto all’orso nero che l’aveva condotto là, ma presto gli altri orsi fiutarono la sua presenza. «Cos’è questo cattivo odore d’uomo?» domandò uno; ma il capo de- gli orsi lo richiamò: «Non parlare così. È solo uno straniero venuto a trovarci. Lasciatelo stare». Gli orsi cominciarono a parlare fra loro, e Turbine si stupì di riuscire a capire quello che dicevano. Discutevano sulla scarsità di ogni sorta di cibo sulle montagne, e dovevano decidere che cosa fare. Avevano mandato esploratori in ogni direzione e due di essi erano già tornati per riferire su ciò che avevano trovato.

In una valle a sud, dissero, c’era una vasta distesa di castagni e querce, e il terreno sotto le piante era coperto di castagne e ghiande. Felice della notizia, un grosso orso nero di nome Cosce Lunghe annunciò che avrebbe dato inizio a una danza. Mentre danzavano, gli orsi notarono l’arco e le frecce di Turbine e Cosce Lunghe si fermò e disse: «Ecco che cosa usa l’uomo per ucciderci. Vediamo se possiamo usarli anche noi. Potremmo combatterlo con le sue stesse armi». Cosce Lunghe tolse l’arco e le frecce a Turbine; incoccò una freccia e tese la corda, ma quando la lasciò andare essa s’impigliò nei suoi unghioni e l’arco cadde a terra. Cosce Lunghe capì che non era in grado di usare l’arco e le frecce e li restituì a Turbine. Gli orsi nel frattempo avevano finito di danzare e stavano lasciando la caverna per recarsi ciascuno a casa propria. Turbine uscì con l’orso nero che lo aveva portato là e, dopo una lunga camminata, giunsero a una caverna più piccola sul fianco di una montagna. «Ecco dove abito» disse l’orso, e lo guidò all’interno. Turbine non vide nulla da mangiare, intorno, e si domandò come avrebbe potuto placare la fame.

Leggendo nei suoi pensieri, l’orso si sedette sulle zampe posteriori e fece un movimento con quelle anteriori. Quindi porse le palme aperte a Turbine, ed erano piene di castagne. Ripeté ancora questa magia e le palme si riempirono di mirtilli che diede a Turbine. Poi gli offrì delle more e infine un po’ di ghiande. «Non posso mangiare le ghiande» disse Turbine. «E poi, mi hai già dato da mangiare a sufficienza.» Per molte lune, estate e inverno, Turbine visse nella caverna con l’orso. Dopo un certo tempo, notò che sul corpo gli crescevano peli come quelli degli orsi. Imparò a mangiare ghiande e a comportarsi come un orso, ma camminava ancora eretto come gli uomini. Il primo giorno tiepido di primavera l’orso disse a Turbine d’aver sognato il villaggio Cherokee giù nella valle. E d’aver udito, nel sogno, i Cherokee parlare di una grossa spedizione di caccia sulle montagne. «Mia moglie mi aspetta ancora?» domandò Turbine. «Aspetta il tuo ritorno» rispose l’orso. «Ma tu sei diventato un uomo orso. Se torni fra gli uomini devi chiuderti per sette giorni, senza mangiare e senza bere, lontano dalla vista della tua gente.  Alla fine dei sette giorni tornerai a essere un uomo.» 

Alcuni giorni più tardi un gruppo di cacciatori Cherokee salì sulle montagne. L’orso nero e Turbine si nascosero nella caverna, ma i cani dei cacciatori fiutarono la tana e si misero ad abbaiare furiosamente. «Ho perso il mio potere contro le frecce» disse l’orso. «La tua gente mi ucciderà e mi toglierà la pelle, ma non potrà fare del male a te. Ti riporteranno a casa con loro. Ricorda quel che ti ho detto, se vuoi perdere la natura di orso e tornare a essere un uomo.» 
I cacciatori Cherokee cominciarono a scagliare pigne accese all’interno della caverna. «Mi uccideranno, mi trascineranno fuori e mi taglieranno a pezzi» spiegò l’orso. «Quando lo avranno fatto, tu dovrai coprire il mio sangue con delle foglie. Se ti volterai indietro mentre ti portano via, potrai vedere qualcosa.»
Come l’orso aveva predetto, i cacciatori lo uccisero con le frecce, trascinarono il suo corpo fuori della caverna, lo scuoiarono e squartarono la sua carne per portarla al villaggio.

Temendo che essi potessero scambiarlo per un orso, Turbine rimase nella caverna, ma i cani continuarono ad abbaiare. Quando i cacciatori guardarono bene dentro la caverna, videro un uomo coperto di peli, e uno di essi riconobbe in lui Turbine. Pensando che fosse stato prigioniero dell’orso, gli domandarono se voleva tornare a casa con loro e liberarsi della natura d’orso. Turbine rispose che sarebbe andato con loro, ma spiegò che sarebbe dovuto restare solo in una casa per sette giorni senza cibo e senza bevande per poter tornare a essere un uomo. Mentre i cacciatori si caricavano in spalla i pezzi di carne, Turbine accumulò foglie nel punto in cui era stato ucciso e scuoiato l’orso, coprendo attentamente le gocce di sangue. E dopo aver camminato un po' scendendo la montagna, si volse e vide un orso sorgere dalle foglie, scuotersi ed entrare nella caverna.

Tornati al villaggio, i cacciatori condussero Turbine in un’abitazione vuota e, secondo i suoi desideri, sbarrarono la porta. Ma sebbene egli li avesse pregati di non parlare ad alcuno della sua natura e del suo pelame d’orso, uno dei cacciatori dovette raccontare di lui al villaggio, poiché il mattino dopo sua moglie già sapeva del suo ritorno. Essa si affrettò allora dai cacciatori e li supplicò di lasciarle vedere il marito da tanto tempo lontano. «Devi aspettare sette giorni» le dissero i cacciatori. «Fra sette giorni Turbine tornerà da lei così com’era quando lasciò il villaggio dodici lune orsono.» 
Amaramente delusa, la donna se ne andò, ma ritornò ogni giorno dai cacciatori, scongiurandoli di lasciarle vedere il marito. Li implorò a tal punto che il quinto giorno essi la condussero all’abitazione, tolsero le sbarre alla porta e dissero a Turbine di uscire a farsi vedere dalla moglie. Sebbene fosse ancora coperto di peli e camminasse, sia pure sulle zampe posteriori, come un orso, sua moglie fu così contenta di rivederlo che insisté perché tornasse a casa con lei. Turbine la seguì, ma pochi giorni dopo morì e i Cherokee capirono che gli orsi l’avevano reclamato perché aveva ancora natura d’orso e non poteva vivere da uomo. Se lo avessero lasciato chiuso nell’abitazione fino allo scadere dei sette giorni senza cibo e senza acqua, Turbine sarebbe ridiventato un uomo come gli altri. 

Questa è la ragione per cui in quel villaggio, nelle prime tiepide e nebbiose notti di primavera, si vedono sempre gli spiriti di due orsi, uno che cammina su quattro zampe, l’altro su due.

L’uomo orso (Cherokee) 

martedì, marzo 26, 2024

Villa Palagonia : Studio e Rivelazione dei simboli occulti.



Sabato 30 marzo alle ore 17 nei locali del Centro d’Arte e Cultura “Piero Montana”  a Bagheria la scrittrice Rosanna Balistreri e il professore Tommaso Romano, presidente della Fondazione Thule, 
presenteranno il libro di Piero Montana 

Villa Palagonia 
Studio e Rivelazione dei simboli occulti.



Il libro parla di una scoperta sensazionale: il ritrovamento nella “villa dei mostri” del tesoro della scienza sacra, per secoli custodito ed arricchito, attraverso una lunga catena, dai figli di Ermete. Un tesoro costituito dal sapere della Tradizione, storicamente rimosso dal pensiero, dall’ideologia della modernità, inaugurata nella seconda metà del ‘700 dai filosofi del secolo dei lumi, il secolo di una ragione idolatrica che, ancora oggi, sostituendolo, prende il posto di Dio, mettendo dunque fine alla sua teofania in un mondo conseguentemente del tutto desacralizzato, in un mondo a una sola dimensione che considererà frutto di superstizione e fantasia quella che da millenni se non da sempre era ritenuta la sua immanente contiguità con una realtà sovrasensibile, con una realtà nella quale solo era possibile realizzare una autentica reintegrazione dell’essere. 

 E’ a tale reintegrazione che l’uomo premoderno mirava con l’acquisizione del sapere della Tradizione, del sapere di una scienza sacra, ermetica, unico e vero tesoro di maghi, mistici ed alchimisti, un tesoro
dunque perduto solo da un paio di secoli e che invece oggi l’autore di questo libro scopre a Villa Palagonia, riportandolo nuovamente in luce, nella rivelazione di tutti i suoi simboli alchemici, esoterici, occulti.

CENTRO D’ARTE E CULTURA “PIERO MONTANA”



mercoledì, febbraio 28, 2024

Douglas Pretsell lancia in aprile il suo ultimo libro " URNING"

Nell’aprile di quest’anno potremo assistere al lancio online del libro “Urning: Queer Identity in the German Nineteenth Century” del dottor Douglas Pretsell

 E' possibile leggere la ricerca nel libro qui .

Manca ancora la data specifica, ma il lancio avverrà durante le ore diurne europee e statunitensi di un giorno feriale. 

Tutti i partecipanti al lancio riceveranno un buono sconto per il libro.

 Se desiderate ricevere un invito a questo lancio, COMPILATE E INVIATE QUESTO MODULO .


Per favore, passate questo invito ai tuoi amici o colleghi che possano essere interessati.

  dottor Douglas Pretsell

Dipartimento di Archeologia e Storia

Scuola di Scienze Umanistiche e Sociali

Università La Trobe, Bundoora, Australia 3086

E: D.Pretsell@latrobe.edu.au

W: https://www.theurnings.au/
prossimamente:


Libri di Douglas Pretsell  già pubblicati :


Copertina del libro    Copertina del libro

 


Douglas Pretsell- Riconosco i Custodi Tradizionali di Narrm, la terra in cui vivo e lavoro, i popoli Boon Wurrung e Woi Wurrung della Nazione Kulin. Riconosco il loro continuo legame con la terra, le acque e la cultura. Rendo omaggio ai loro Anziani passati, presenti ed emergenti.

Università La Trobe | TEQSA PRV12132 - Università australiana | Fornitore CRICOS 00115M

lunedì, febbraio 19, 2024

LA CACCIA - Il poema di Piero Montana sul delitto di Giarre 1980


Aver divelto la targa commemorativa dei due ragazzi omosessuali, trucidati dalla violenza antigay nell’ottobre del 1980, non può che avere un significato ben preciso: quello di volere perfino eliminarne la memoria, ma questa memoria è ormai incancellabile perché già scritta anche in libri di storia e non soltanto in libri della storia del movimento gay italiano.


Il delitto di Giarre è stato un delitto antigay da imputare alla mentalità omofobica di una città del profondo Sud, quale era allora Giarre ancora impregnata di secolari tabù e pregiudizi. In risposta a questo delitto per primi Enzo Francone, Bruno Di Donato e io esponenti del Fuori, federato al partito radicale, fummo i protagonisti di primo pian di una rivolta che presto coinvolse tutta la Sicilia, dando luogo alla così detta “primavera gay siciliana”, che portò in campo nazionale alla nascita a Palermo nel 1981 di Arcigay.


Il 31 ottobre 2005 il sottoscritto nel pieno impegno del suo lavoro come consulente del Sindaco per la realtà omosessuale della città di Bagheria, ancora volle ricordarsi di quel delitto, pubblicando il poemetto “Giarre 1980 La Caccia”


Oggi in risposta ai facinorosi che si sono preposti di cancellare la memoria dei due ragazzi di Giarre, con il distruggerne la targa commemorativa di piazzetta Verdone, ripropongo all’attenzione il mio poemetto scritto per quei due “arrusi” che osarono sfidare la società del loro tempo con la visibilità, con l’epifania, nel senso sacro del termine, della loro omosessualità.

Piero Montana


La caccia- Giarre 1980  

Il poema di Piero Montana sul delitto di Giarre

”Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce” – Blaise Pascal –


Sono passati tanti anni
Rimane solo un ricordo
Della tragedia tinta
Di giallo.
A volte di notte
Quando sono solo
Di soprassalto
In lontananza
Riascolto nel buio
Gli spari
Lo scoppio del cane
Schiacciato sul tamburo
Di un fucile
Di una lupara

Nello schermo della memoria
Appare l’immagine
Di uno
Due giovani corpi abbattuti
Che cadono
Per terra rivoli di sangue
Che scorrono
Sull’erba verde dei campi
Ah gli anni beati
Della primavera siciliana
Della mia gioventù ribelle
Che coraggiosa
All’erta
Accorreva

Al soccorso
Di un disperato grido
Di richiamo
Giorgio e Tony
Erano giovani amanti
Di bellezza invidiabile
Mano nella mano
I corpi stretti
Abbracciati
Li trovarono ammazzati
Ad Ognissanti
Nella campagna di Giarre
Il fatto di sangue
– Ricordo-

Accadde nell’ottobre piovoso
Dell’anno 1980
Il loro amore ”diverso”
Senza futuro
Senza speranza
In quel tempo
Era vergogna a mostrarsi
Per questo
Sul loro destino
Crudele
S’abbatté il castigo
Poi la condanna
Senza pietà
Implacabile

Lontano dall’abitato
Nel loro nido d’amore
Nel loro rifugio segreto
Selvatico
In putrefazione
Li trovarono…
Cadaveri
Ai margini
Fuori
Nell’aperta campagna
Giacché in città
La gente non tollerava lo scandalo
Non li lasciava vivere in pace

Finché qualcuno nell’ombra
Non imbracciò il fucile
Per farla finita
Per ammazzare
Quei due spudorati.
Il pianto che sgorga dal cuore
Come fiume di lacrime
Non placa la pena
Che gonfia il petto
Fino a star male
Di chi
Da quella morte ferito
Rimase segnato
Nell’anima

Col tempo
Il dolore
Non più attanaglia la carne
Si cicatrizza la piaga
Ma di quei due fiori
Falciati nello splendore dell’erba
Sul ciglio di un campo
Rimane il rimpianto
Di due giovani vite
Dalla morale comune
Spezzate.
Nel mondo
Ovunque
Sarà bandito l’amore

Lì ci sarà
Una città dei cani
Che di giorno
Di notte
Sotto una luce
Di una luna piena o calante
Rabbiosa abbaierà
Alle anime in pena
Di due innamorati
Dai tabù
Condannati
A vagare impauriti
A rintanarsi nell’ombra
Come fantasmi

Da qui
Sortiranno gli spettri
Di un dolore straziante
Che nel triste ricordo
Sempre verranno
A visitarci
A mostrarci
A cuore aperto
Il petto squarciato
Le ferite sanguinanti
Di quel che fu per loro il sogno
Di un amore pieno
Appagato
Nell’attimo fuggente

Di una felicità intensa
Furtiva
Fugace
Di quel che fu per loro il sogno
Di una breve vita d’incanto
Come fragile vetro
Andato presto
In frantumi
In una tela di ragno
Il sogno all’alba svanito
Nel pantano
Di un grigio
Piovoso
Luttuoso mattino

Il sogno di due giovani
Bellissimi amanti
Riflesso
Nello specchio dorato
Di una folle
Febbrile
Gioventù spensierata
In mille cocci
Distrutto
Per odio rabbioso
Da intolleranza
Spietata
Da anonime
Assassine pallottole

Sibilanti nell’aria
Sparate
Da dietro un muro
Il buio di una siepe
Complice
Di una mano armata
Di una violenza
Cieca
Dalla norma accettata
Condivisa dal branco
Istigato alla caccia
Al delitto
Senza castigo
Senza colpevoli

Senza condanne
Restando il caso
Dell’omicidio dei due innamorati
Senza soluzione
Per sempre archiviato
Se la legge del cuore
E diversa dal costume
Dalla morale degli uomini
Giorgio e Tony
Con la loro tragica
Storia d’amore
Dopo un quarto di secolo
Resteranno ancora
Come cari defunti

Nella nostra memoria
A ricordarci a lungo
Il tempo dell’odio assassino
Della caccia spietata
In un Sud retrogrado
Agli omosessuali
Vilipesi
Linciati
Feriti
Inseguiti per strada
In sentieri tortuosi
Nell’aperta campagna
Ammazzati
E lì abbandonati

Alle ortiche
All’oltraggio
Per la loro manifesta
“Diversa”
Scandalosa condotta
Semplicemente dettata
Dai comandamenti
Dalle pulsioni del sangue
Di un desiderio bruciante
Esploso
Senza ritegno
Senza pudore
Alla luce del sole
In una naturale

Umana
Travolgente
Passione-
Se ogni uomo
È una stella
Per il potere
La forza magnetica
Della loro attrazione
Gli astri
Di Giorgio e Tony
Lassù
Da qualche parte
Nel firmamento
Dell’infinito universo

Nella costellazione degli amanti
Di passione
Folli
Perduti
Per noi
(Che nelle tenebre
Rattristati
In preghiera
In lutto
Versammo lacrime
Amare
Sul loro destino
Crudele
Senza futuro)

Luminosi
In eterno
Splenderanno
Nel più alto
Dei cieli.




lunedì, febbraio 05, 2024

presentazione del libro "La villa dell'alchimia Elementi alchemici ed esoterici di Villa Palagonia" di Piero Montana


 Sabato 10 febbraio alle ore 17,30 nei locali del Centro d’Arte e Cultura “Piero Montana” sarà presentato il nuovo libro La Villa dell’alchimia. Elementi alchemici ed esoterici di Villa Palagonia di Piero Montana.

La presentazione sarà fatta dalla scrittrice Rosanna Balistreri, dalla giornalista Marina Mancini, dall’Assessore alla Cultura Daniele Vella. Sarà presente il Sindaco di Bagheria, Filippo Tripoli.

Il libro di Montana parte da un resoconto del viaggiatore inglese Patrick Brydone, che nel 1770 visitando Villa Palagonia



ha modo di entrare anche nella camera da letto di Ferdinando Francesco Gravina Junior, Principe di Palagonia, e di osservare con molto stupore che essa era riempita di sculture in marmo raffiguranti animali di ogni specie, tanto da scrivere nel suo libro Viaggio in Sicilia e a Malta che questa camera da letto del nostro Principe gli sembrava uno scomparto dell’arca di Noè.

Il Brydone non sospetta neppure entrando in questa camera di trovarsi innanzi a un luogo sacro, un luogo di terribili visioni e sogni profetici mandati dall’Alto al nostro Principe per rivelargli l’imminente fine del mondo, che però sarebbe stata solo la fine del suo mondo: il crollo dell’Ancien Régime, la messa a morte di Dio, contemplata nell’esecuzione capitale del Suo rappresentante in terra di Francia, Luigi XVI, ghigliottinato il 21 gennaio 1793 nonché il quasi totale annientamento della classe degli aristocratici.

Montana partendo da questo luogo sacro di terribili profezie, esamina e studia tutte le altre stanze della Villa, riscontrando negli elementi decorativi di esse simboli ermetici ed esoterici attinenti all’Arte della Grande Opera.

L’autore del libro ritiene pertanto di avere a che fare in questo suo studio con una “Dimora filosofale”, in cui il Principe di Palagonia si preparava alla realizzazione della Pietra filosofale, la sola che avrebbe avuto il potere di moltiplicare lo spirito nobile e scongiurare pertanto la scomparsa della nobiltà dalla faccia della terra. La villa dell’alchimia consta di tre parti. La prima è una breve introduzione all’alchimia intesa come scienza ermetica dell’anima e non come una scienza della natura (la chimica).

La seconda che consta di una breve ma indispensabile introduzione all’alchimia spirituale nella quale andrebbe inquadrata l’opera di Ferdinando Francesco Gravina Junior. 

La terza parte è quella in cui l’autore esamina e studia tutti gli elementi alchemici ed esoterici presenti nelle immagini delle statue, degli affreschi e degli elementi decorativi della villa, facendo delle sensazionali scoperte. Questo studio sistematico dei simboli occulti di Villa Palagonia, mai prima tentato, dai risultati ottenuti può considerarsi di certo assai esauriente e completo.

In tale studio Montana si è avvalso della personale frequentazione di una vasta letteratura alchemica nonché della guida di maestri spirituali del nostro tempo quali René Guénon, Julius Evola, Eugène Canseliet, Mircea Eliade, Carl Gustav Jung, e soprattutto Henry Corbin, più spesso citato nel suo libro.

Dal momento che Villa Palagonia è stata finora studiata in maniera seria solo da competenti architetti, che ce l’hanno descritta in tutti i suoi elementi architettonici, fornendoci pure di essa, oltre ai suoi modelli iconografici, interessanti notizie storiche sulla famiglia Gravina a partire delle sue mitiche origini regali, il nostro autore in questo suo libro ha voluto occuparsi solo di quel sapere ermetico ed esoterico, che nonostante la devastazione della villa, operata alla morte del nostro Principe dal suo fratellastro Salvatore Gravina, ancora oggi rimane in essa superstite ma del tutto celato, nascosto ad occhi profani.





martedì, luglio 18, 2023

FUORI ! intervista Fernanda Pivano (1973)

Ringrazio Mauro Caruso  per aver ripubblicato questa chicca




Gennaio Febbraio 1973, Fernanda Pivano, dopo tre numeri da collaboratrice entusiasta lascia il FUORI! e ne spiega le ragioni in questa intervista ad Alfredo Cohen e Angelo Pezzana, 

da FUORI! gen./feb. 73.

Alfredo  -Nanda è stata la persona che ha scritto sul numero zero di FUORI! e poi sul numero uno. Questo per noi è stato molto importante, per noi ed anche per te, noi pensiamo. Ecco, questo è in linea con tutta quanta la vita di Fernanda Pivano, cioè una vita dedicata interamente ad una impostazione che è andata sempre controcorrente, ma nel termine più esatto di questa parola, cioè controcorrente non soltanto nei confronti di un certo sistema di vita che mortificava le coscienze, controcorrente anche con chi trovava molto facile inserirsi in un sistema di contestazione accettato dallo stesso sistema generale. Noi vorremmo che tu ci dicessi perché l’hai fatto.



Nanda  -proprio per le ragioni che tu hai detto. Non vorrei neanche pronunciare la parola controcorrente, perché “contro“ è già qualcosa che indica uno stato di lotta, quasi fisica, che sicuramente è fuori dalle mie intenzioni. In generale tutte le cose che ho scritto sono state per fare delle proposte che aiutassero a trovare vie e soluzioni tali da sciogliere le repressioni o liberarsi dalle repressioni o trovare il coraggio per reagire alle repressioni; qualsiasi repressione, le repressioni sessuali, le repressioni sociali, le repressioni politiche, di qualsiasi genere. Il mio atteggiamento è sempre stato solamente un atteggiamento libertario o comunque teso verso la libertà o comunque ansioso di libertà, avido di libertà. Nel caso specifico del vostro giornale sono stata molto orgogliosa che mi abbiate chiamato tra voi, anche se dal punto di vista della mia vita pratica partecipo soltanto intellettualmente al vostro problema, come sapete, perché intellettualmente ci partecipo fin in fondo, dato che la situazione sociale quale si è venuta determinando nei paesi di sinistra e nei paesi di destra, nei paesi capitalistici e nei paesi razionali, è una situazione di totale repressione. I paesi capitalistici perché chi non rientra nel canale dell’eterosessualità è represso e umiliato e impedito in tutti modi, e non solamente nei modi sindacalisti, ma proprio nei modi umani, quelli che umiliano la vita privata; per esempio quando nella vita pubblica riducono l’omosessuale a dover avere-si deve dire coraggio, figurarsi,-per poter semplicemente esprimere i suoi sentimenti, le sue esigenze, se si vuole anche soltanto i suoi piaceri, perché no? Invece nei paesi razionali perché semplicemente uno viene espulso, radiato dalla cosiddetta vita pubblica e civile. E questo lo sappiamo benissimo: che ci sono leggi antiomosessuali molto severe nei paesi a civiltà razionale, in Russia, in Cina, a Cuba, queste cose le sappiamo, sono pubblicamente note.

Alfredo  -tu Nanda non ti sei incontrata con un problema omosessuale soltanto con quelli del FUORI! Evidentemente in te già precedentemente a questa tua esperienza di scrittrice all’interno del FUORI! c’era stato un rapporto con gli omosessuali; tu come vedi questo tuo rapporto, tu Nanda Pivano eterosessuale con degli omosessuali. Come erano questi omosessuali?

Nanda  -il mio rapporto è stato molto facile, perché il mio è stato sempre un rapporto con gli omosessuali e non con le omosessuali, per cui il fatto che io fossi o non fossi eterosessuale non importava niente ai miei amici omosessuali. Forse se avessi avuto delle amiche omosessuali sarebbe stato più difficile perché ci sarebbe stato lo scarto tra i miei pensieri di tentativi di liberazione della repressione (della repressione umana, personale sociale, ma non della repressione sindacalista). Invece, per quello che gliene importava ai miei amici omosessuali che io avessi abitudini omosessuali o no…-Non gliene importava proprio niente. A parte poi il fatto che la mia vita privata è stata una vita di repressione per altri versi, perché anche come eterosessuale la società patriarcale/fallocratica/feudale nella quale viviamo mi ha costretto da tutte le parti ad uno stato di totale castrazione, prima con le intimidazioni paterne, poi con le lacrime materne, poi con la gelosia-possesso coniugale. Insomma, questo problema della repressione sessuale l’ho sentito anche io, pur essendo eterosessuale. Sicché non ho avuto nessun tipo di problema con i miei amici omosessuali; e questo problema dell’omosessualità d’altra parte l’ho visto da vicino appunto perché avevo tanti amici omosessuali tra poeti e scrittori, tra gli artisti, soprattutto fuori d’Italia perché sai che il maggior numero di amici io li ho avuti fuori d’Italia, perché per il mestiere che faccio ho avvicinato soprattutto scrittori e artisti americani.

Alfredo -tu hai collaborato inizialmente a scatola chiusa, cioè c’era da parte nostra, del movimento che andava nascendo, l’esigenza di uscire fuori, di uscire fuori in un certo modo. Tu hai subito avvertito l’importanza di questo tipo di esigenza e sei stata subito con noi, come al solito, in un tipo di battaglia che ti vedeva impegnata da un punto di vista della disobbedienza civile…

Nanda  -certo…

Alfredo  -ora vorrei che tu ci parlassi del nostro giornale, una tua impressione, cioè come tu lo vedi, come tu vorresti che fosse, quello che ha, quello che manca.

Nanda -sì, di nuovo mi fai una domanda molto difficile. Sarei molto presuntuosa se potessi risponderti, perché sono sicura che se voi il giornale lo fate così, non potreste farlo in un altro modo, perché voi sapete cosa volete fare. È vero che ho partecipato con voi fin dal principio che sono molto orgogliosa della fiducia che mi avete dimostrato venendo qui in questa casa a Milano a fare la vostra prima seduta. Quando c’è stata quella prima serata qui, si è visto subito che c’erano questi due canali che minacciosamente si profilavano, un canale rivoluzionario nel senso delle esigenze umane e un altro canale nel senso delle esigenze (dico una parola detestabile, ma tutte le etichette, tutte le definizioni sono detestabili) partitiche. Se pronunciate questa parola nell’intervista metteteci anche per piacere questa mia precisazione, che secondo me tutte le definizioni sono imprecise perché sono delle generalizzazioni. Cioè io dico che la parola ”rivoluzionario” o la parola “ribelle“ è una parola che si addice a tutti e due questi gruppi, sia il gruppo che si preoccupa della posizione dell’omosessuale nella società privata sia il gruppo che si preoccupa dell’omosessuale nella società come lotta di classe.  Ora, ti dico sinceramente che la lotta di classe la considero un mezzo, una metodologia antiquata e ormai rozza per condurre un’operazione oggi, cioè ora che la rivoluzione industriale è alle nostre spalle da mezzo secolo, o forse di più, è quasi un secolo, e casomai la società non è più quella industriale e dunque la rivoluzione non è più industriale ma tecnologica. Questo fa una grande differenza, perché non essendoci più da difendere un proletariato come c’era al momento della rivoluzione industriale, anche le esigenze sono cambiate. Un giornale socio-culturale mi pare che dovrebbe soprattutto rivolgersi a quei problemi che nessuno protegge e nessuno affronta perché non “importano “a nessuno; questi problemi non si risolvono con la lotta di classe, ma raggiungendo le consapevolezze. Anche la mia è una proposta antiquata, ma antiquata di vent’anni, mentre l’altra è una proposta antiquata di 100: se il problema è quello di essere antiquati bisogna appena vedere chi è più antiquato dell’altro. E per il resto io considero il gesto singolo di un uomo che per raggiungere le consapevolezze dice: “la mia nudità non è la mia nudità fisica, ma è la mia nudità interiore di fronte alla impossibilità di comunicare con la società“, altrettanto rivoluzionario che una serie di gesti tesi a ottenere che vengono riassunti quelli che vengono licenziati dagli uffici perché sono omosessuali. D’altronde questi problemi sono stati affrontati e risolti al loro tempo, forse risolti no ma affrontati, inseriti in un tipo di battaglia di quei gruppi omosessuali e riformisti che voi conoscete meglio di me, la Mattachine society eccetera.

Alfredo  -puoi dirmi qualcosa di più sul giornale, così come è impostato, come lo vedi tu, come vorresti che fosse…

Nanda  -io “vorrei“ che il giornale si svolgesse dappertutto, ma non soltanto in qualcosa, se no sarebbe di nuovo fare del razzismo, come fare della politica di esclusione. Sicché vorrei che il giornale facesse tutto, ma facesse tutto davvero, cioè per esempio che non succedesse come in questo numero che la parola amore non viene mai pronunciata. Così il giornale non fa tutto: a questo punto è arrivato a fare solo una certa cosa, mentre dapprincipio voleva fare tutto, era di totale apertura; e nel giornale di tutta l’apertura io sto con assoluta chiarezza e senza nessun problema. Ma se il giornale si pone dei limiti a questi limiti non posso non reagire; voglio dire, sia chiaro che quando dico “tutto” intendo “tutto” partendo da una base che è quella marxista, non metto neanche in discussione questo. D’altronde la parola “libertario“ è una parola abbastanza chiara, non si può usare l’espressione “libertario, in un sistema capitalistico o in un sistema fascista, questo è chiaro la parola “libertario”implica un concetto di totale uguaglianza, per esempio anche di tutte le uguaglianze nei riguardi della burocrazia, perché se si fissano dei concetti di burocrazia già l’uguaglianza scompare.

Angelo  -noi abbiamo ricevuto, dopo la pubblicazione sul numero due di FUORI! della poesia di Ginsberg e dopo i tuoi tre articoli moltissime lettere da parte di lettori omosessuali, ma anche eterosessuali, che ci ringraziavano per aver pubblicato sul giornale una poesia di Ginsberg e per aver ospitato una pagina con i tuoi articoli. Ovviamente eterosessuali in misura minore perché i nostri lettori sono chiaramente in maggioranza omosessuali. Però questo è molto indicativo. Ora mi sembra che tutta una critica, diciamo così, ufficiale, non solo italiana ma anche americana o comunque internazionale, non ha mai messo sufficientemente in rilievo tutta la componente umana di Allen in Ginsberg come poeta, come poeta-uomo. Anche in Italia, anche nella presentazione sua al lettore italiano la sua omosessualità è sempre stata forse dal punto di vista culturale messa in secondo piano, forse perché anche lui vive in questo modo, non lo so. Vorrei sapere da te fino a che punto si può parlare di Allen Ginsberg come di un poeta omosessuale, non come eticchetta, ma perché Ginsberg è profondamente omosessuale, in quanto poeta… Vorrei riproporti la domanda in modo più diretto: vorrei sapere come vive Ginsberg in rapporto alla sua posizione letteraria in rapporto al suo modo di vivere, cioè perché si parla di un Nuovo Stile di Vita, e si afferma negli anni ‘70 una omosessualità che negli anni ‘60 non si affermava ancora, ma si viveva in modo ancora oppressivo… Cioè si veniva cacciati da Praga con certe motivazioni…

Nanda  -da Cuba…

Angelo  -da Cuba, con le stesse motivazioni, però nei resoconti che noi leggevamo sui giornali non si diceva che Ginsberg era omosessuale, ma si parlava solo di contrasti di natura politica o di influenze nefaste sulla gioventù. Ora, negli anni ‘70 invece questo tipo di condizionamento che veniva imposto ad un essere umano, in questo caso  Allen Ginsberg , poeta, era proprio repressione anche omosessuale. Tu, per quello che oggi rappresenta Ginsberg, non solo a livello omosessuale, anzi, direi in misura minima, ma a livello di Nuovo Stile di Vita, qual è la misura dell’omosessualità nella sua vita?

Nanda  -credo di aver capito la tua domanda. Forse questa omosessualità è importante proprio per quello che riguarda la sua posizione nell’impostazione di uno stile di vita. Il Nuovo Stile di Vita vuol dire soprattutto sottrarsi a qualsiasi tipo di repressione vuol dire impostare l’esistenza su una base totale di libertarietà questo è un punto di partenza. Ora, ricordiamoci che la prima persona che è salita su un palcoscenico e di fronte a un teatro gremito ha detto: “io sono omosessuale“ è stato Ginsberg nel ‘56, e in pieni anni ‘50 era una dichiarazione molto pesante da fare perché non costumava affatto farla. Sicché se vogliamo dire che lui è stato il precorritore di un tentativo di affermazione del suo diritto umano, privato, all’omosessualità (e anche del suo diritto pubblico all’omosessualità) non c’è dubbio che lo è stato che l’azione è partita da Ginsberg. Dunque non è che il nuovo stile di vita si imposti sulla dichiarazione dell’omosessualità ma, come dicevamo al principio, la possibilità di reagire alla repressione dell’omosessualità è stata uno degli innumerevoli aspetti delle innumerevoli proposte per reagire ad ogni tipo di repressione, tra le quali la repressione all’omosessualità. Poi si capisce queste cose hanno preso forma più avanti, è la stessa storia dei movimenti di liberazione della donna; queste cose sono cominciate sul finire degli anni ‘60, anche se i movimenti di liberazione della donna sono cominciati un po’ prima, ma questi rivoluzionari veri e propri… Il primo gruppo organizzato è stato quello delle NOW della Betty Friedan, che non si basava sicuramente sull’omosessualità, L’accenno all’omosessualità è avvenuto con la famosa rivolta dell’orgasmo clitorideo di Anna Koegt. Adesso rispondo alla tua domanda …

Alfredo  -vorrei aggiungere una cosa: leggendo i giornale underground americani, la free press, ed anche giornali di liberazione omosessuale, il nome di Ginsberg viene citato molto sovente, gli fanno interviste, lui risponde, viene fotografato, pubblicano qualche sua poesia, parlano cioè spessissimo di lui; ora l’America è pieno di poeti omosessuali anche bravi, anche grandi poeti, però nessuno ha mai avuto del credito presso i movimenti di liberazione omosessuale, l’unico è stato Ginsberg . Perché?

Nanda  -ma intanto perché Ginsberg è-io non so se si può dire, lui sicuramente si infurierebbe se me lo sentisse dire-senza dubbio il genio della poesia americana di questo tempo, come a suo tempo era stato Withman , come ci sono queste persone, di queste creature fortunate, ispirate…

Angelo  -e infatti i giornali del Gay  Lib. ripubblicano poesie di Walt Withman…

Nanda  -eccetera…

Angelo  -e pubblicano Allen Ginsberg .

Nanda  - e pubblicano Allen Ginsberg . Cioè: questi sono valori di poeta che vanno aldilà della caratteristica omosessuale. Solo si dà il caso che siano dei poeti omosessuali che questa cosa l’abbiamo dichiarato invece di tenerla nascosta. Ora, le ragioni per cui la dichiarava Withman erano ragioni non diversissime da quelle per le quali la dichiara Ginsberg. Whitman parlava di “adesività“, se ti ricordi; adesività voleva poi dire questo amore per tutti gli esseri umani e questo amore doveva essere così grande da comprendere anche l’omosessualità. Ginsberg parla di una sincerità globale questa sincerità, che poi è la reazione alla repressione, la proposta di liberazione da tutte le repressioni, comprende anche l’omosessualità. La sua idea è che la poesia deve trattare esattamente tutto quello che si pensa, deve essere assolutamente aderente alla vita, alla esistenza. Se in quel momento si pensa alla omosessualità, la poesia che si scrive è una poesia dedicata alla omosessualità. In tutta la WichIta Vortex Sutra di omosessualità si parla proprio poco; perché si parla di tutt’altro problema si parla del problema del linguaggio come manipolazione del pensiero, di una manipolazione del pensiero spinta a un livello tale che può condurre alla guerra: questo, come vedi, con la omosessualità non c’entra, ma c’entra invece con la repressione del linguaggio. Per esempio. Tuttavia, nel corso di questa poesia, che è stata molto più importante di quello che è stato capito, forse perché non tutti hanno capito questo problema della repressione del linguaggio, della manipolazione del linguaggio, in questa poesia tutte le volte che si parla d’amore, si parla di amore nel senso omosessuale. D’altra parte che Ginsberg abbia descritto i suoi amori omosessuali nelle sue poesie, è abbastanza chiaro. Una volta avevamo avuto una discussione io, non ricordo come, gli ho fatto una domanda molto ingenua dicendo: “in questo modo non puoi scrivere una poesia d’amore. A chi lo scrivi tu una poesia d’amore?“. E lui mi ha risposto: “ma come, non c’è poesia in cui io non abbia parlato del mio amore per Peter“.

Angelo  -vorrei che tu mi parlassi adesso del legame di Allen Ginsberg con Peter Orlowsky che forse è poco conosciuto dal lettore italiano, ma chi conosce bene l’opera e la vita di Ginsberg sa che rappresenta qualcosa di molto importante. Vorrei che tu mi parlassi di questo legame che va al di là del legame culturale (per esempio Gertrude Stein e Alice B.Toklas), qualcosa di molto più vitale, molto più viscerale. Per Ginsberg e per Orlowsky questo rapporto ha significato qualcosa di molto grosso, però nessuno lo conosce bene. Puoi raccontare qualcosa in proposito?

Nanda  -sì. E, posso farlo senza paura di tradire nessuna intimità e senza paura di fare indiscrezioni perché mi limito a riferire quello che Allen Ginsberg ha detto in un’intervista che è stata pubblicata sui giornali, sicché basterebbe tradurre questa intervista. Se vuoi te la vado a cercare perché se la vuoi pubblicare sul tuo giornale sono sicura che a Ginsberg non importerebbe affatto. In questa intervista Ginsberg ha parlato di questo suo rapporto, straordinario, con Peter (e non c’è dubbio che questa resterà una delle grandi coppie storiche, uno dei grandi amori storici del mondo letterario di tutti tempi), e ha detto esplicitamente che i suoi rapporti con Peter si erano conclusi, come avviene in tanti rapporti coniugali eterosessuali, anche quando questa fine è davvero imprevedibile; però ha detto che questa conclusione dei suoi rapporti “coniugali “non aveva tolto nulla ai suoi rapporti affettivi con Peter e che Peter continua a essere il compagno più dolce… Le parole esatte che lui ha detto sono “has far has tenderness and understanding Is concerned “. Dunque, per quello che riguarda la tenerezza e la comprensione senza dubbio i suoi rapporti con Peter hanno continuato a essere assolutamente totali, assolutamente perfetti. Effettivamente Peter e Allen sono veramente dei compagni ancora adesso e straordinariamente affettuosi; Peter l’anno scorso, dopo la malattia, ha vissuto con una ragazza che ha avuto cura di lui, molto simpatica, molto carina; e vive con Ginsberg solo che per circostanze professionali non vivono sempre tutti e tre insieme; vivono tutti insieme quando sono nella Farm di Cherry Valley, li è molto grande è una specie di comunità a carattere ecologico aperta a tutti gli antichi amici poeti. E da Peter che si riesce a sapere dov’è Ginsberg quando lo si cerca. Ad esempio, quando sono andata a Denver, è stato Peter a venire all’aeroporto a consegnare il manoscritto che dovevo portare a Ginsberg: il manoscritto di Kerouac che uscirà postumo, il grande capolavoro, che Kerouac ha favoleggiato per tutta la sua povera, troppo breve esistenza, e al quale Ginsberg ha fatto una prefazione; al punto che lui era a Denver per rivedere i luoghi dove Kerouac era stato con Cassidy perché voleva fare un’introduzione il più possibile connessa con la vita di Kerouac con Cassidy. E a Peter mi ero rivolta per sapere dov’era in quel momento  Ginsberg , che poteva essere nel monastero di quel lama tibetano che gli ha insegnato il mantra dello A Ah Sha Sa Ma o in certe università di quella zona, dove faceva dei reading  , e Peter sapeva sempre dove lui era.

Alfredo  -tu hai letto questo manoscritto?

Nanda  -sì, l’ho letto.

Alfredo  -e com’è?

Nanda  -è molto bello, e però il Kerouac della grande maniera, il Kerouac della mano di leone. Sono convinta, ora che la prospettiva storica si è ristabilita che Kerouac verrà fuori come uno dei più grandi scrittori che abbia avuto l’America. Anche se gli ultimi romanzi sono più deboli dei primi, ma questo è avvenuto a molti grandi scrittori americani.

Alfredo  -uscirà in America, questo manoscritto?

Nanda   -sì, mi ha scritto Ginsberg che ha appena finito l’introduzione, sicché tra un paio di mesi uscirà; è un grosso manoscritto. E questo era un libro di cui mi scriveva Kerouac; mi diceva:”non parlare più di me come beat, non voglio più essere uno scrittore beat, io sono lo scrittore di questo libro”. Era già uscito in parte, per le “new direction”, in un’edizione rilegata, “Vision of Cody“, ma in misura molto abbreviata e adesso invece uscirà nella forma completa. E contiene i famosi nastri registrati, le famose conversazioni di Neal Cassidy registrate in nastri

Alfredo  -senti, proprio perché tu sei Fernanda Pivano…

Nanda  -one of Them…

Alfredo  -bisognerebbe dire the one… Quindi proprio per quello che significa il tuo nome in relazione alla cultura americana, e noi proprio per onestà dobbiamo riconoscere che tutti i movimenti di liberazione sessuale sono nati in America e poi sono arrivati in Europa; quindi anche il movimento di liberazione omosessuale è nato in America, prima in forme molto riformiste, di accettazione, e poi, come esplosione di enorme voglia di liberazione, dal ‘69 in avanti, perciò i riferimenti con i movimenti di liberazione americani sono inevitabili e anche giusti e doverosi; e per questa esperienza dunque, che tu hai della cultura americana e quindi anche dei movimenti di liberazione omosessuale, ti chiediamo come vedi tu la situazione italiana in relazione a quella situazione americana.

Nanda  -qui il discorso va al di là dell’omosessualità. Tutto il periodo del fulgore di questa proposta libertaria, che ha cercato di svincolare le consapevolezze, di aprire la comunicazione, di allargare il più possibile il dialogo fra gli uomini, tutta questa fase è stata praticamente ignorata dalla cultura italiana; ignorata nel senso che la cultura italiana l’ha respinta, l’ha rigettata, non ne ha voluto sapere e forse questo si spiega perché in Italia c’erano già dei gruppi di critica che venivano dalla sinistra: l’Italia è un paese dove il 50% dei voti sono per le sinistre; un fenomeno che assolutamente non corrisponde a quello americano e questo fa una colossale differenza, perché quelle proposte libertarie potevano in un modo o nell’altro entrare nel filone di una proposta marxista. Infatti era una proposta marxista anche se aveva questa forma che non era diciamo così di marxismo partitico. Invece qui i problemi hanno cominciato a interessare il nostro pubblico quando hanno assunto un carattere tipicamente partitico: quello che è stato accettato in Italia è stato il cosiddetto “Movimento“, ma non quello nato in America per la liberazione dei negri quando ha mandato i volontari nel sud per ottenere il voto dei negri (perché così è nata l’espressione “movimento“), bensì quello già diventato movimento rivoluzionario a carattere marxista-leninista. È stato a quel punto che il movimento americano ha colpito i gruppi italiani; e li ha colpiti come un movimento già politico nella direzione dell’organizzazione partitica, dell’organizzazione rivoluzionaria POLITICA vera e proprio: non rivoluzionaria di pensiero, rivoluzionaria nel senso della radicalizzazione, per intenderci; per radicalizzazione si intende non tanto la metodologia di una rivoluzione, ma lo scoprire se una rivoluzione è necessaria o no, e dunque lo scoprire che la rivoluzione è necessaria e la rivoluzione non ha da essere necessariamente una rivoluzione che sovrapponga un potere all’altro: può anche essere una rivoluzione che sovrappone uno stato mentale a un altro cioè, l’idea che la rivoluzione può anche raggiungere le consapevolezze dei burocrati nelle società e nei governi razionali, così come si propone sicuramente di raggiungere le consapevolezze dei burocrati negli Stati capitalisti. Ma così come in origine erano stati impostati questi problemi, il problema è quello di raggiungere le consapevolezze. Il movimento ha spostato questa impostazione verso una interpretazione puramente rivoluzionaria, ambientata nella grande azione internazionale in tutto il mondo, per esempio quella che doveva creare un’opinione pubblica per l’ammissione di Mao all’ONU. Tanto è vero che una volta che Mao è stato ammesso all’ONU, che ha cominciato a comprare gli aviogetti in Inghilterra, che ha fatto gli accordi commerciali con il Giappone, che ha fatto-mi pare-gli accordi commerciali anche con l’America, Questo movimento dell’Amerika con il K è praticamente caduto e quei gruppi che si erano costituiti come esponenti di questi passaggi, di questi azioni, si sono messi a fare dell’azione elettorale a Miami; insomma, siamo rientrati nel grande canale della propaganda elettorale, rivoluzionaria finché basta, però sempre “rientrata” nei canali per sostenere un certo candidato e non un altro. Credo.

Angelo -usando una formula da Stop o Grand Hotel vorremmo rivolgerti…



Alfredo  -un’invito…

Angelo  -sì, s e tu dovessi esprimere molto sinteticamente una tua opinione personale sul movimento di liberazione omosessuale in Italia oggi, cosa diresti?

Nanda  -direi che in generale qualsiasi movimento di liberazione ha da essere accolto con le braccia spalancate e bruciando incensi, perché qualsiasi movimento di liberazione evidentemente nasce da un’esigenza di liberazione, e quale che sia la cosa da liberare va liberata se si sente la necessità di liberarla; a condizione che questa liberazione sia una liberazione sul serio. E qui scatta la molla per la quale ho scritto sul vostro numero zero. Ora la mia preoccupazione in questo caso è che quello che è partito come un movimento di liberazione diventi in realtà un metodo di assestamento o un metodo addirittura di fagocitamento in ridurre queste esigenze-che sono delle esigenze drammatiche, tali da porre problematiche molto ansiose, molto reali, molto fisiche, molto carnali… Insomma molto vere-a semplici mezzi, semplici pedine, in certi tipi di conquista dei poteri, certi tipi di esemplificazione di lotta di classe, in modo tale da diventare elementi di odio invece di essere delle proposte di apertura, di apertura globale. Questo mi interessa. Le competizioni non mi interessano, A nessun livello, neanche a livello per esempio di gruppi che devono avere un capo piuttosto che un altro. Fino a quando ci devono essere delle scissioni perché uno deve essere un capo e l’altro no, fino a quando ci devono essere delle scissioni perché se uno fa un giornale gli altri se ne vogliono impadronire, e se ne vogliono impadronire perché… Questo l’ho proprio visto succedere in America con tanti giornali underground. Per esempio quale era stato quel giornale dove questa cosa era avvenuta in un modo così chiaro? Dunque c’era un giornale, mi pare lo “SPECTATOR“, un piccolo giornale, non un grosso giornale underground, c’era questo giornale dove si pubblicavano gli articoli via via che questi articoli venivano presentati, e la regola era che gli articoli venivano pubblicati sia quando avevano un certo valore letterario sia quando non lo avevano. Quando pareva al direttore del giornale che non lo avessero, invece di essere pubblicati come articoli, venivano pubblicati come lettere, però il giornale essendo un giornale underground, era aperto a tutte le collaborazioni. Poi si è cominciato a creare piano piano nella redazione del giornale un certo clima per cui articoli andavano approvati da una certa commissione redazionale, da un certo staff redazionale. E vedi caso, questo staff redazionale preposto alla scelta è diventato sempre più collegato con i gruppi della SDS (Students for a Democratic Society, ndr) che in quel momento erano i gruppi super rivoluzionari, no? Che via via sono diventati sempre più legati ai movimenti marxisti-leninisti. La situazione è diventata così cristallizzata che a un certo punto il direttore ha dato le dimissioni e ha detto: “io mi ritiro perché questo giornale che è cominciato con un giornale di proposte di libertà e di totale apertura adesso si ritrova a non pubblicare più altro che gli articoli in perfetta coerenza con il programma degli SDS“. Per esempio questo è stato un tipico caso di fagocitamento. Bada che io non ho niente contro il programma degli SDS. Se gli SDS avevano questo programma facevano benissimo ad averlo. Ed è, era sicuramente un programma salutare, forse più salutare diciamo, per esempio, del programma di Wallace. Io non lo so, non lo conosco molto bene, ma insomma credo che si possa dire senza odiare nessuno e, senza fare lotte contro nessuno e competizioni contro nessuno, che noi siamo d’accordo casomai con il programma degli SDS, forse perché facciamo molta fatica a capire quali sono le meccaniche del programma di Wallace. Tuttavia non c’è dubbio che in quel momento l’azione degli SDS è stata un’azione che ha contenuto, bloccato e incamerato, fagocitato in qualche modo queste possibilità, questi organi, queste possibilità di espressione per azioni che non erano rigorosamente impegnate in una certa direzione, in un certo canale con quella degli SDS. E che sia andato, poi, questo canale, sempre più restringendosi. Ora, ricordiamoci che il movimento di liberazione femminile rivoluzionario, come rivoluzione è nato proprio dalla frangia femminile degli SDS. Mica per niente. Ora, in Italia ho l’impressione che ci sia lo stesso pericolo. Che sia nato questo FUORI! come una proposta di liberazione della repressione omosessuale e che in qualche maniera altri canali abbiano teso a impadronirsi di questo grosso mezzo di comunicazione inventato da voi per servirsene per le loro esigenze, per le loro sia pur giustificate necessità di espressione, per raggiungere i loro strati di lettori, per divulgare il loro pensiero. Ora, per me va benissimo che si divulghino questi pensieri, perché sono pensieri che vanno divulgati, non c’è dubbio. Tuttavia mi sembravano più incalzanti i pensieri che il giornale divulgava all’inizio, che erano quelli del tentativo di liberazione dalla repressione anche omosessuale. Questa era la posizione che non solo non facevo alcuna fatica ad accettare, ma che mi sentivo di condividere, e per la quale ho collaborato al numero zero. Appena ho visto che nel vostro giornale non si pronuncia più la parola amore, gli ho detto che non mi sento di collaborare con un giornale che mette la censura alla parola amore, perché allora non mi sembra più un giornale che libera dalla repressione. Cioè, nel momento che si stabilisce un certo razzismo, io non ci sto più, il razzismo può essere di tanti tipi. Questo non perché non creda in quel particolare tipo di razzismo, va benissimo. Però mi piacerebbe che la vostra azione venisse condotta in stato di apertura. In stato di reazione alla repressione. Invece viene il pensiero, viene il sospetto, viene alla diffidenza, che possa diventare una repressione essa stessa se si può censurare delle parole. Non so se mi sono spiegata. Ma, badate, io ho fatto del mio meglio, ho fatto delle proposte, però non sono né una persona politica, né un’organizzatrice, né un leader, né niente. Sono solo una che ha fatto delle proposte, che ha sentito queste cose: non le ho neanche inventate, queste cose però le ho capite; le ho capite e ci ho sperato moltissimo.

Intervista con Fernanda Pivano

a cura di:

Alfredo Cohen   e   Angelo Pezzana




rdo Sciascia su Pasolini