Cronache di un linciaggio. Gabriel Matzneff e la nuova ipocrisia.
Pubblicato il 18 Dicembre 2020
Esistono non poche espressioni per indicare una reazione che si verifica tardivamente rispetto all’azione che l’ha provocata: in Italiano, ad esempio, si usa: “a scoppio ritardato” (credo sia di derivazione meccanica); in dialetto peligno (circoscritto alla zona dell’Abruzzo in cui vivo) la locuzione ha un corrispettivo in: “a botta repenzàte” (la e finale è muta, come in francese); oltralpe troviamo la definizione dello stato d’animo di chi non risponde prontamente ad una provocazione: “esprit de l’escalier” (letteralmente: “spirito della scala”).
Da qualche anno imperversa un fenomeno mediatico che trova origine proprio nello “scoppio ritardato”. Mi riferisco al #MeToo, movimento che vede unite le vittime di molestie sessuali da parte di personaggi dello spettacolo. Chi ad Hollywood ne ha fatto maggiormente le spese è stato il produttore Harvey Weinstein, condannato a ventitré anni di carcere per due reati di stupro, nonostante le accuse fossero arrivate da un centinaio di attrici. Dopo venti anni, e dopo aver iniziato brillantemente la sua carriera (tanto da vincere un Oscar) grazie a Weinstein, Gwyneth Paltrow ricorda di aver subito delle avances e incita le sue colleghe a ribellarsi all’orco che, fino al giorno prima, era idolatrato dall’intero sistema hollywoodiano.
Un attore come Kevin Spacey, a causa di qualcuno che – a botta repenzàte – gli ha contestato approcci sessuali (neanche violenze) vecchi di decenni, è stato messo alla gogna da quel regno di ipocrisia che è il cinema americano, in cui vale l’andante: “si fa ma non si dice”.
Ad interessarmi non è tanto la materia di questi scandali – né eventuali considerazioni morali – quanto l’ipocrisia che li genera e li alimenta.
Alla fine dello scorso anno si è scatenato un putiferio ai danni di Gabriel Matzneff, scrittore francese di origine russa, autore di libri di narrativa e di saggistica nonché di articoli pubblicati su quotidiani come “Combat” e “Le Monde”. Negli anni Settanta la questione del diritto dei bambini alla sessualità è fortemente dibattuta, tanto che nel 1977, sul quotidiano “Le Monde” e poi su “Libération” (rispettivamente del 26 e 27 gennaio), appare una petizione in difesa dei rapporti tra adulti e minori, sottoscritta da un’illustre schiera di intellettuali: da Jean-Paul Sartre a Roland Barthes, da Simone de Beauvoir a Michel Foucault. Tra i firmatari c’è anche Matzneff che, qualche anno prima, aveva dato alle stampe Les moins de seize ans (Parigi, Juillard, 1974), in cui, combinando più registri letterari (memoriale, saggio, pamphlet, romanzo epistolare), esprime la sua idea sull’amore per i più giovani, partendo da esperienze strettamente personali. Quando vent’anni dopo, grazie alle edizioni ES di Milano, il libro arriva in Italia (ringrazio personalmente il traduttore Giancarlo Pavanello per avermene procurato ben due copie, essendo a tutt’oggi il libro irreperibile), Matzneff redige un apposito scritto introduttivo: «Se mi fossi davvero preoccupato per la mia carriera, non avrei mai osato pubblicare questo libro che, socialmente, era destinato a procurarmi un danno enorme. La mia reputazione di dissoluto, di perverso, di demonio, comincia proprio dai Minori di sedici anni. Insomma, è stato un suicidio mondano. […] Se io avessi confessato il mio amore per l’estrema giovinezza piangendo, percuotendomi il petto, sarei stato perdonato. A destra come a sinistra, i benpensanti non sopportano l’insolente atmosfera di felicità e di libertà nella quale è immerso il mio libro». In realtà questo professato libertinaggio non ha generato ostracismo in Francia, men che meno nel mondo intellettuale. Gabriel Matzneff è assurto alla fama grazie all’abilità di trattare, con ironia ora giocosa ora sferzante, un argomento delicatissimo che stuzzica l’interesse dei lettori. Basti pensare alla stima dimostratagli in più occasioni dal Presidente François Mitterand. Non poche sono state le onorificenze ricevute, come il prestigioso Premio “Renaudot” per Séraphin, c’est la fin! (Parigi, La Table Ronde, 2013) e un vitalizio assegnatogli nel 2002 dal Centre National du Livre, che opera sotto l’egida del Ministero della Cultura.
Qualcuno ha provato a redarguirlo pubblicamente: il 3 marzo 1990, durante la trasmissione televisiva Apostrophes, la scrittrice canadese Denise Bombardier si rivolge a Matzneff definendolo «spregevole», e che non vale nascondersi dietro un libro perché «la letteratura non può essere un alibi». Proprio come nel processo ad Oscar Wilde, al quale veniva contestato il contenuto “immorale” delle sue opere. L’autore irlandese si difendeva affermando: «Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male».
È questo l’errore perpetrato nei confronti di Matzneff, e di questa materia vorrei occuparmi, indipendentemente dalla questione della sessualità infantile che pure andrebbe affrontata da un punto di vista culturale prima ancora che giuridico: «… la penalizzazione attuale della pedofilia rivela certi impliciti culturali diffusi sull’infanzia e sulla sessualità che sarebbe finalmente ora di esaminare» (Sergio Benvenuto, Pederastia antica, pedofilia moderna. Un’ipotesi, in “POL.it-Psychiatry on line Italia”, 8 novembre 2018).
Nel gennaio 2020 viene pubblicato il libro Le consentement, in cui Vanessa Springora, che dirige la casa editrice Julliard, denuncia Matzneff per aver “approfittato” di lei. Ciò sarebbe accaduto trent’anni prima (notevole esprit de l’esclalier), nonostante tra i due (lui cinquant’anni, all’epoca, e lei quattordicenne) ci fosse una relazione consensuale. Cavalcando l’ondata di caccia alle streghe inaugurata dal #MeToo, la Springora ottiene quanto desiderato: l’ostracismo e la demonizzazione dell’anziano scrittore. In quest’epoca di nuovo puritanesimo, Matzneff viene sconfessato da Gallimard che ritira dal mercato le sue opere. C’è da chiedersi perché, seguendo la stessa logica, non siano stati messi al bando (giusto per restare in casa) anche Verlaine, Proust, Gide, Sartre e Tournier… Fortunatamente la Biblioteca e Archivi Nazionali del Quebec non accetta di mettere all’indice i libri dell’autore. Lo stesso direttore, infatti, precisa che la Biblioteca «sostiene i grandi principi di libertà intellettuale enunciati ed evidenziati dagli organismi internazionali e dalle principali associazioni operanti nel settore documentale. […] La BAnQ non si sostituisce al giudizio dei suoi fruitori e li lascia liberi di accedere, di prendere in prestito, di leggere e di farsi una propria opinione sul soggetto».
Anche in Italia il caso è dibattuto. Carmen Llera Moravia (femminista che deve tutto al suo nome da sposata) accusa Matzneff, pur confessando di non averlo mai letto, di essere un «predatore sessuale» e di far parte di una cerchia di intellettuali «intoccabili» in Francia, «come certi terroristi» (ovvio il riferimento alla politica di Mitterand). Eppure, in un’altra intervista, la signora Moravia difendeva a spada tratta le “predazioni” perpetrate dall’amico Dominque Strauss-Kahn: «non vorrei che diventasse le bouc émissaire di un certo puritanesimo americano, antieuropeo e antifrancese». Due pesi misurati a seconda dell’evenienza… Tra i pochi italiani a prendere le parti del malcapitato c’è Giuliano Ferrara, il quale, in Matzneff e il peccato estinto (“Il Foglio”, 15 febbraio 2020), imbastisce un’arringa difensiva in cui cerca di dimostrare come l’autore dei Moins de seize ans appartenga, per propria natura, ad un’epoca incomprensibile dall’odierna giustizia.
Intanto, dopo che la Procura di Parigi ha aperto un’inchiesta sul suo conto, Matzneff si rifugia in Italia, precisamente a Bordighera, in un albergo che la polizia ha perquisito sperando di trovare chissà cosa. Ma un’indagine del genere, “a scoppio ritardato”, non ha portato ad alcunché, almeno fino ad ora. Nel settembre 2020 il Ministero della Cultura revoca a Matzneff il suo vitalizio, come se diciotto anni prima, quando gli era stato assegnato, non si sapesse che allo scrittore piacevano i gamins aux yeux de tribades, per dirla con Verlaine. Nello stesso periodo il fanatismo francese si scaglia contro una targa dedicata a Guy Hocquenghem, scrittore sensibile alla “causa omosessuale”. Nell’articolo Faut-il brûler Hocquenghem?, pubblicato sul quotidiano “Mediapart”, Antoine Idier prorompe: «Perché? Di cosa è colpevole Hocquenghem? E ancora, di cosa è accusato? Per esser dichiarati colpevoli bisogna ancora che si venga accusati di qualcosa. Sarà difficile trovare degli elementi precisi, semplicemente dei fatti. Abbiamo letto che è stato “amico di Gabriel Matzneff”. Altrove, che ha fatto “apologia della pedofilia”. Che avrebbe avuto “prese di posizione totalmente indifendibili”. Quali? Non lo sapremo. Non ci sono titoli di testi, citazioni o numeri di pagina. La Sindaca di Parigi è stata interpellata da un gruppo “di deputate ecologiste, di femministe”. Quali? Che hanno detto cosa? Non ne sapremo di più. Persino un giornale come “Mediapart”, generalmente rigoroso, si limita a rimandare ad un sito internet e a dire che Hocquenghem è “fortemente criticato per le sue posizioni sulla sessualità dei bambini”. Posizioni? Quali? Mistero». Non è che il tenace qualunquismo che da sempre anima le masse.
Del povero Matzneff non si hanno più notizie né si conosce il luogo in cui abbia deciso di ripararsi dalla pandemia oltre che dalle indagini. Lui sa bene che, seppure dovesse essere arrestato e condannato (cosa improbabile vista l’età avanzata), sarà soltanto al Dio dei Poeti che dovrà rendere conto; quello, per intenderci, invocato da Baudelaire: «Ah! Seigneur! Donnez-moi la force et le courage / De contempler mon cœur et mon corps sans dégoût!» (C. Baudelaire, Un voyage à Cythère, vv. 59-60, in Les fleurs du mal, 1861, II ed.). Nei Minori di sedici anni leggiamo: «Gesù, quando rivede Pietro dopo il suo triplice rinnegamento, non gli chiede: “Ti penti?”. Gli domanda semplicemente: “Mi ami?”. Non saremo giudicati né sulle nostre opere, né sulle nostre cadute, né sui nostri “vizi”. Nell’ora adorabile e terribile in cui ci presenteremo davanti all’altare nuziale del Cristo saremo giudicati sull’amore».
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