venerdì, febbraio 17, 2023

, Storia dell'intolleranza in Europa. Sospettare e punire. Il sospetto e l'Inquisizione romana nell'epoca di Galilei

Come il Diritto Romano, frutto di civiltà non confessionali è stato sconfitto dal diritto canonico.

AMG



Storia dell'intolleranza in Europa. Sospettare e punire. Il sospetto e l'Inquisizione romana nell'epoca di Galilei, 

di  Italo Mereu, 

Milano, A. Mondadori, 1979.

Valerio Evangelisti ha raccontato di avere incontrato per la prima volta la figura storica di Nicolas Eymerich (in catalano Nicolau Aymerich) nel volume di cui riportiamo la copertina. Mereu dedica alcune pagine a Eymerich in apertura del volume, analizzando le origini dell'Inquisizione e sottolineando l'importanza di Eymerich nella codificazione e formalizzazione delle pratiche processuali, che rimarranno valide per molti secoli a venire.

“Chi confrontasse l'ultima legge di pubblica sicurezza con la prima decretale pontificia dedicata al sospetto (nel 1 1 8 1 ), potrebbe constatare come entrambi i testi ammettono che l'autorità costituita può, ogni qual volta lo ritiene opportuno, privare una persona della libertà, sulla base di un semplice sospetto ( «sola suspicione» dice il testo della decretale; e una frase analoga - seppure diversamente camuffata - usa il testo della legge attuale).

L'identità fra i due testi ci porta a formulare questa domanda:

come mai il legislatore d'oggi ricorre ancora al vecchio strumentario penalistico del Medioevo? 

La risposta è duplice.

La prima è di carattere generale: ancora oggi lo schema penalistico ha per paradigma quello medioevale. Se nel campo della cosmologia siamo passati dal sistema tolemaico a quello copernicano e alla teoria della relatività; se in quello della psicologia - che sembrava incrollabile -, dal sistema aristotelico siamo arrivati alla psicoanalisi; se nei trasporti siamo giunti dalla piroga e dal mezzo animale al supersonico, e nell'illuminazione, dal lucignolo siamo pervenuti alla luce elettrica, e nel campo delle comunicazioni dai tam-tam della foresta siamo approdati alle comunicazioni via satellite: nel campo del diritto e della procedura penale, invece, siamo ancora fermi ad Alberto da Gandino, il primo giurista medioevale di cui si conservi una «practica », e che qui si cita perché emblematico.

Umanesimo e Rinascimento, Barocco e Illuminismo, Rivoluzione francese, liberalismo e comunismo (nel campo dell'effettività penale) non hanno portato cambiamenti se non di dettaglio e mutamenti solo di facciata. Il rapporto « culpa = poena », resta tale e quale è stato impostato dai Padri della Chiesa e dai teologi della Scolastica, e ripreso e adattato poi, dai giuristi laici, al diritto comune. La punizione come vendetta (chiamata con un nome meno esplicito) è sempre il punto d'appoggio di ogni sistema repressivo. Tutti gli istituti sui quali è strutturato il diritto penale (dal concetto di dolo a quello di colpa, alla colpevolezza, alla capacità penale, alla normalità dell'atto volitivo, al concetto di reato, agli elementi accidentali del reato, al tentativo, ecc.) sono ancora quelli medioevali.

Il diritto processuale penale è sempre quello inquisitorio ideato dalla Chiesa, con una chiara impronta anti-romanistica.

(Sia detto fra parentesi: il processo accusatorio anglosassone non è che la continuazione, o la ripetizione, del modello accusatorio romano. I continuatori della tradizione romanistica, in questo campo, sono loro, e non noi.) 

Certi nomi che sembrano moderni sono presi dalla teologia: come il concetto di dogmatica e di dogma; oppure dai giuristi della controriforma: come il concetto di istituto.

Talune « invenzioni » metodologiche, come il cosiddetto metodo « tecnico-giuridico », non sono che la trascrizione, in chiave moderna, del metodo « bartolista » o « realista » che domina dopo il '500. E se i « criminalisti » del '400, del '500 e del '600, non facevano che richiamarsi di continuo alla Glossa, a Bartolo e a Baldo, quelli del '700, dell' '800 e del nostro secolo (quando sono in vena di citare i precedenti storici) si richiamano a Claro, Covarrubias, Deciani e Farinacci, che non sono altro che i « ripetitori » di quanto avevano detto gli scrittori medioevali.

Si stabilisce così una specie di catena di Sant'Antonio delle citazioni giuridiche: e nei manuali d'oggi si ritrovano tali e quali le vecchie distinzioni e definizioni del Medioevo.

Se poi guardiamo ai Codici emanati dopo la Rivoluzione francese o a quelli moderni (almeno in Italia), e li si pone a confronto con quanto dispongono in materia i vecchi Statuti comunali, vedremo che la maggioranza delle fattispecie sono identiche; e in qualche ipotesi (quando il legislatore ha voluto innovare, ad esempio sul concetto di recidiva) ha riconosciuto che era bene tornare alle vecchie disposizioni medioevali.

Sono differenti, indubbiamente, le persone da colpire o da favorire, e le ideologie da combattere. E se nel Medioevo e nell'età barocca si arrestava un individuo perché sospetto eretico, nell'Ottocento lo si arresterà perché sospetto ladro di campagna, sospetto abigeatario, sospetto repubblicano, anarchico, socialista.

Variano i motivi, ma la struttura giuridica repressiva resta identica. E se prima della Rivoluzione francese i nobili ed il clero avevano un foro speciale, adesso questo privilegio è passato ai ministri, ai deputati e ai senatori, cioè alla nuova classe dirigente che ha una procedura particolare e un giudizio di « pari ».

Ma se la situazione è questa (come, oggi, da più parti si comincia ad ammettere e a verificare), non ci pare corretto dedurre da tale « immobilità » il carattere « eterno » degli istituti giuridici. 

Diritto e procedura penale sono sempre creazioni umane e come tali sono (sarebbero) sempre sottoponibili a trasformazioni anche totali, così come cambiamenti totali sono avvenuti  in tutti gli altri campi. La loro immobilità, dunque, è voluta. La loro perennità risponde a un calcolo politico. 

Cioè: la scienza, la civiltà, il progresso (chiamateli come volete) in questo campo sono rimasti legati alle vecchie strutture del passato, all'antico impianto, perché tale legame ha sempre pienamente soddisfatto l'interesse politico di tutte le classi dominanti che si sono succedute al potere, le quali hanno sempre trovato nel diritto penale (così come ci è stato tramandato dal Medioevo) il mezzo più agevole, comodo, sbrigativo e (in apparenza) sicuro, per punire i delitti e per controllare ed eliminare le opposizioni".

La voce è antica, tranne che nell’espressione legittima suspicione, usata nel codice di procedura penale del 1913 (sostituita da quella di legittimo sospetto nel codice del 1930) e rimasta nell’uso, anche se il vigente codice di procedura penale prevede la rimessione del processo nei soli casi in cui la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo sono pregiudicate da gravi situazioni locali, tali da turbarne lo svolgimento e non altrimenti eliminabili. …


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