IL FIOR FIORE DEL MALE
Racconti di Salvatore Solinas
Prefazione di Benedetta Agostini
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Richiusero la porta e salirono nel loro appartamento. Quando si fece notte lui mi ordinò di scavare una fossa in fondo al giardino, al confine con la campagna. Ne avevo scavate delle altre là in fondo. In autunno veniva bene perché bastava coprirla con le foglie che ogni giorno ripulivo dai viali facendone dei mucchi, e la terra smossa non era più visibile.
[…] Questa raccolta potrebbe intitolarsi "Le anime morte", titolo troppo famoso e abusato, quasi quanto "I fiori del male", perché in essa, nei suoi personaggi, non esiste sentimento, moto dell'anima che non sia un vago adagiarsi al luogo comune, al discorso di maniera, che mai sfocia in alcunché di spirituale, in concrete opere d'altruismo e di giustizia che facciano pensare ad anime vive, a cuori pulsanti. L'autore ha registrato con pazienza le loro voci senza mai interrompere, astenendosi da commenti di qualsiasi natura, senza dare descrizione del loro aspetto esteriore, desiderando che i personaggi balzino fuori della pagina come il lettore vuole immaginarli, con la certezza di mai imbattersi in essi nei telegiornali, essendo totalmente frutto di fantasia. […]
Dalla prefazione di Benedetta Agostini
Salvatore Solinas. Sono nato il 17 febbraio, all'una di notte di un lunedì. Così cominciai la settimana. I miei genitori furono contenti: un maschio dopo tre femmine. Ero di carattere timido e ombroso, balbuziente e mancino. Mancino sono rimasto almeno in quei gesti che compivo in assenza dei genitori, come lanciare le pietre che era il mezzo di difesa preferito, essendo io piccolo ed esile di costituzione.
A 12 anni cominciai a scrivere versi imitando i poeti che trovavo negli armadi zeppi di libri di mio padre: Cardarelli, Saba, Pascoli… credo che volessi capire a cosa serviva scrivere poesie, ma non lo compresi mai. Al liceo leggevo i simbolisti francesi, i surrealisti. Amavo Garcia Lorca e Majakovskij. Le due poesiole che intitolano la raccolta "Morte di un poeta", LaRecherche.it, luglio 2009, sono ispirate alla loro tragica fine. Dopo il liceo Classico mi sarei iscritto all'università in una facoltà umanistica, se i voti dei miei compiti in classe d'Italiano non fossero stati quasi sempre abbondantemente sotto lo zero a causa di una completa sordità alle doppie. Mi iscrissi dunque a Medicina seguendo una certa consuetudine familiare. Vivo a Parma dove "tengo famiglia" e faccio il medico di professione. Alla Medicina, per parecchi anni, ho dedicato ogni mio interesse, fino a quando non lessi nel Corriere della sera un articoletto che raccontava di una navicella spaziale inviata a fotografare la cometa di Halley. Non so come, m'immedesimai in quel piccolo robot e nelle notti di guardia in ospedale scrissi un poema in endecasillabi sciolti, l'unica mia pubblicazione cartacea. Un amico psichiatra mi disse che bisognava essere matti a leggere Giotto. Questo è il nome della navicella spaziale ed il titolo del poema. Ripresi così a scrivere in versi e in prosa. Le mie pubblicazioni sono tutte su LaRecherche.it che reputo una istituzione benefica (vedi anche il mio eBook "Strade di città", LaRecherche.it, gennaio 2010). Mi considero un barbone letterario, un madonnaro, di quelli che dipingono sui marciapiedi immagini sacre, offerte agli occhi distratti dei passanti, presto cancellate dalla pioggia.
Visita la mia pagina personale su LaRecherche.it: http://www.larecherche.it/autore.asp?Utente=solinass
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Cordiali saluti,
LaRecherche.it
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