giovedì, gennaio 27, 2011

Una bella intervista di Enzo Cucco a George L.Mosse - Razzismo e omosessualità

da NotizieRadicali.it

27-01-2011
In occasione della Giornata della Memoria, Sergio Rovasio e Dario Vese, dirigenti dell’associazione radicale “Certi Diritti” ci segnalano e chiedono di pubblicare una lunga e interessante intervista che Enzo Cucco ha realizzato con George L.Mosse, studioso che non ha bisogno di presentazione. “E' il contributo di Certi Diritti per il 27 gennaio”, dicono Rovasio e Vese. Grazie a loro, anche il nostro.

George Lachman Mosse è oggi conosciuto in tutto il mondo come uno dei più acuti studiosi del razzismo e del nazismo, temi ai quali ha dedicato i suoi ultimi lavori. E’ nato nel I9I8 a Berlino in una delle più conosciute famiglie ebraiche della Germania prehitleriana, proprietaria dell'omonima casa editrice e di una catena di giornali. Nel 1933 la famiglia emigra a Parigi per sfuggire alle leggi razziali, ed il padre riesce a scampare a un tentativo di assassinio dopo aver rinunciato l'“arianizzazione” offertagli da Goering. In seguito si trasferirono a Londra dove George inizia i suoi studi di Storia, per poi continuarli al Downing College di Cambridge. Nell'agosto del 1939 nuovo trasferimento negli Stati Uniti, dove George compie gli studi con una tesi sulla Storia medioevale ad Harvard. In seguito gli viene offerto l'incarico di insegnare storia otto-novecentesca all'Università del Wisconsin, occasione per specializzare i suoi interessi su questo periodo. Attualmente oltre a insegnare sia negli Stati Uniti sia all'estero come “visiting professor”, è condirettore del “Journal of Contemporary History”.
Sarà utile ricordare che egli stesso si definisce un “hegeliano”, indicando i quattro pensatori che di più lo hanno influenzato: lo storico tedesco Friederich Meinecke e le sue teorie sul potere e sulla ragion di Stato, Benedetto Croce col suo concetto di totalità della Storia, Johan Huizinga dal quale ha mutuato la teoria dei miti, ed infine l'amico George Lichtheim, che lo ha familiarizzato con la dialettica hegeliana.
Un primo cenno al rapporto fra razzismo, sessualità ed omosessualità è contenuto nel suo volume del 1964 “The Crisis of German Ideology”. Sul numero di aprile del 1982 del “Journal of Contemporary History” ha pubblicato due articoli: “Nationalism and Respectability: normal and abnormal sexuality in the Nineteenth Century” (Nazionalismo e Rispettabilità: sessualità normale ed anormale nel XIX secolo) e “Friendshipand Nationalhood: about the promise and failure of German nationalism” (Amicizia e Nazionalità: sulla promessa e sul fallimento del nazionalismo tedesco).
Ha inoltre partecipato con due interventi all'importante Convegno svoltosi ad Amsterdam dal 22 al 26 giugno 1983 sul tema: “Among Men, Among Women. Sociological and Historiacal recognition of homosocial arrangements” (Fra uomini, fra donne. Individuazione storica e sociologica dei comportamenti omosociali). La prima sul tema del rapporto fra razza e sessualità, la seconda sulla relazione fra fascismo e sessualità. Questi ultimi lavori, insieme ad altri, sono stati raccolti in un volume, apparso nel I983 col titolo “Sexuality and Nationalism. Respectability and deviate sexuality in Modern Europe” (Sessualità e nazionalismo. Rispettabilità e sessualità deviante nell'Europa moderna).
Questa intervista è stata raccolta a Roma il 21 marzo 1984.

Vuole spiegarci, professor Mosse, perché uno storico del nazismo e dell'antisemitismo quale Lei è ha deciso di occuparsi di sessualità?
“Il motivo è semplice: la sessualità e una componente molto importante del razzismo. Il razzismo congiunge tutti gli ideali del XIX e XX secolo, ed anche il concetto di rispettabilità. Un buon esempio può essere la descrizione che Adolf Hitler da dei giovani ebrei che vede per la prima volta a Vienna, e del loro presunto rapporto con la tratta delle bianche. Non solo gli ebrei o gli zingari od altri gruppi di individui sono considerati outsider (estranei alla società, n.d.c) in quanto tali, ma la loro estraneità è associata anche ad una devianza sessuale. Ebrei, zingari, e quanti altri si vuole, hanno così impulsi sessuali incontrollabili, e sono incapaci di frenare le loro passioni.
La nostra società fino dalla Rivoluzione Industriale ha incoraggiato l'inibizione, e insieme ad essa, ha favorito quei costumi sociali e quei comportamenti che noi definiamo col termine “rispettabilità”. L'outsider, dunque, e sempre la contro-immagine, ed il razzismo ne fissa i connotati: gli ebrei con le loro passioni sessuali, gli zingari con la loro sessualità troppo sviluppata, i neri col persistente desiderio per le donne bianche, e così via”.

Lei ha affermato che alla base dei comportamenti sociali e dei pregiudizi della gente ci sono dei miti. Esiste quindi anche un mito antiomosessuale, e quali cambiamenti ha subito negli ultimi due secoli?
“Il mito antiomosessuale non è cambiato, in quanto esso si crea all'interno della nascente società borghese dei primi del XIX secolo, che come l'odierna società si base sulla divisione del lavoro. Vale a dire la divisione economica e sociale del lavoro della Rivoluzione Industriale descritta da Hegel e da Marx. Esiste anche una divisione sessuale del lavoro, di eguale e forse maggiore importanza delle precedenti. La confusione fra i sessi, quindi è considerata come un attacco contro l'intera società. Dal Medio Evo in poi, ed in misura maggiore nel XIX secolo, una delle accuse contro gli omosessuali è stata quella di assumere il ruolo femminile nell'atto sessuale. La confusione fra i sessi e fra i corrispondenti ruoli economico-sociali che ne derive è completa”.

Non crede comunque che negli ultimi anni qualcosa sia cambiato? In America per esempio in seguito alla spinta dei movimenti omosessuali è sempre più riconosciuto il diritto alla eguaglianza.
“E’ vero, ma il problema di quanto sia cambiata la realtà e se gli omosessuali siano più accettati dalla società deve essere messo in relazione alla questione della coesione della società stessa. Come ho detto prima la coesione, i rapporti di interdipendenza esistenti nella società si basano, fra le altre cose, sulla divisione sessuale del lavoro. La questione sta quindi nel capire fino a che punto la società è disposta a tollerare la confusione fra i sessi. Personalmente credo che ci siano limiti precisi a questa tolleranza, in quanto ancora oggi la confusione dei ruoli sessuali non è considerata come una questione privata, ma pubblica, come accade dall'inizio del XIX secolo, per esempio nelle teorie mediche ed in medicina legale. Ho molti dubbi su quanto si possa riformare in questa situazione, e su quanto l’omosessualità possa essere accettata. E’ chiaro che la società in generale sta estendendo i limiti del permissibile. Negli Stati Uniti, come hai ricordato, specialmente in California, a San Francisco, gli omosessuali sono generalmente accettati, ed hanno anche un potere politico. Vorrei però portare un esempio per chiarire il mio pensiero: Proust ne I Guermantes descrive quando l'ebreo Swann cessa di essere accettato come una persona simpatica dalla sua famiglia, e diventa una minaccia. Il cambiamento avviene quando Swann solleva il caso Dreyfuss; credo che in questo ci sia qualcosa di profondo.
Quando gli omosessuali cessano di essere solamente una componente del panorama pluralistico, e diventano una minaccia per la società esistente? Non credo comunque che gli omosessuali siano una forza sufficiente da rappresentare una minaccia: le uniche comunità con qualche potere sono localizzate esclusivamente in America”.

Torniamo al mito della rispettabilità. Lei pensa che gli omosessuali debbano rifiutarlo completamente, o in che misura è possibile un compromesso?
“La questione del mito della rispettabilità è molto difficile da risolvere. Certamente gli omosessuali non saranno accettati fino a quando questo mito - che in questo caso si trasforma in una realtà, in concreti modi di vita - non sia considerevolmente modificato. Non sono sicuro se alla fine sia possibile un compromesso, ma sicuramente la rispettabilità può essere estesa. Posso invece dare una risposta da storico. Storicamente la rispettabilità si basa su un certo tipo di divisione fra i sessi, e si diffuse insieme alla idea del maschio, della superiorità maschile. Superiorità maschile significa superiorità eterosessuale, sebbene ci siano dei dubbi su questo punto, soprattutto nel fascismo. Comunque credo che quello che deve essere rifiutato sono alcuni aspetti dello stile di vita “rispettabile” considerati come fondamentali anche se sottintesi: la divisione fra i sessi e soprattutto la superiorità del maschio eterosessuale. Oggi però c'è un altro pericolo, ed è molto difficile capire dove ci possa condurre: l'attuale tendenza degli omosessuali e delle lesbiche a tornare indietro nel tempo con un tipo di esistenza ghettizzata; penso che sia controproducente. Se la rispettabilità deve essere estesa lo può essere solo in cooperazione con l'attuale società, e non creando piccole isole personali, piccoli spazi di libertà. Certo questi spazi di libertà sono importanti, ma non possono per sé stessi cambiare la rispettabilità”.

Passiamo al problema del rapporto fra fascismo ed omosessualità e sessualità. Durante la Conferenza di Amsterdam Lei ha affermato che questo tema deve essere affrontato “alla luce della tensione esistente fra mito della rispettabilità e Männerbund” ovvero ideale di una comunità virile. Vuole spiegare questo punto?
“La citazione è giusta: la relazione fra fascismo ed omosessualità deve essere studiata in questa prospettiva. In generale ogni tipo di fascismo si considera come una Männerbund, come una comunità fra maschi. Il significato di questo legame non manifestamente sessuale fra persone dello stesso sesso deve essere posto in relazione col concetto di mascolinità della classe media degli inizi del XX secolo, nel quale si esprimevano i miti della superiorità maschile eterosessuale e della inferiorità della donna. In una prospettiva più ampia credo che in ogni tipo di nazionalismo basato su un modello maschile di società, o se preferisci su un modello maschile-guerriero, c'è sempre il problema che in esso si possano nascondere legami se non con l’omosessualità, con l'omoerotismo. Queste implicazioni omoerotiche sono al centro delle preoccupazioni di questi regimi. La nudità maschile, molto presente nell'arte fascista, è severamente controllata: questa attività di controllo, tipica del fascismo inteso come ideologia visivamente orientata, è necessaria per reprimere il pericolo di incrinare il mito della rispettabilità. Il contrasto, quindi, fra la necessità di mantenere la rispettabilità e le implicazioni omoerotiche è molto forte”.

Su questo argomento ci sono delle differenze fra i vari tipi di fascismi?
“E’ difficile definire chiaramente queste differenze. Mancano degli studi su questo tema. Il fascismo francese, per esempio, ebbe una componente chiaramente omoerotica nel gruppo di amici il cui leader fu Brasillach, che pubblicò anche una rivista. La loro relazione si trasformò senza dubbio in una relazione omoerotica. Per quanto riguarda il nazionalsocialismo la questione è molto più complessa: la sua tendenza era quella di desessualizzare il corpo umano nudo, sia maschile che femminile. La nudità che il nazionalsocialismo incoraggiò come un tipo di valore genuino divenne altamente simbolica, sia nelle posizioni che nella trasparenza dei materiali usati per coprire le nudità. Nella loro mente era costante il pericolo dell’omosessualità. Credo si possa dire che furono molte le persone che, come Himmler, capo delle SS, furono ossessionate da questo pericolo.
In questa ossessione, fra l'altro, si può riconoscere una certa analogia medica. Pochi omosessuali possono contagiare tutta la società: l’omosessualità fu considerata come una malattia, con sintomi, diffusione ed effetti. Il modello medico dell’omosessualità, che fu così importante per i nazisti, lo fu altrettanto per tutto il XX secolo nel creare l'immagine dell’omosessuale come outsider”.

Mi vengono in mente teorie sulla presenza di legami omoerotici nei gruppi maschili che compiono violenze, soprattutto sulle donne. E la relazione, implicitamente avanzata, fra violenza, omosessualità e fascismo. Cosa ne pensa?
“Sotto certi aspetti questa relazione è implicita, nel fascismo, ma non vorrei andare troppo oltre col paragone. Certo l'intera immagine della mascolinità, come si è presentata nel XIX secolo è una immagine di dominio, e la donna è considerata passiva. Questo si può notare anche nelle immagini femminili usate come simboli nazionali: Germania, Italia sono sempre completamente vestite e volgono lo sguardo all'indietro, mai in avanti. Cosi diventano immagini ufficiali.
Credo ci sia qualcosa di vero nel fatto che le persone con una forte tendenza omoerotica siano attratte dal fascismo, ma sono altrettanto sicuro che queste persone sono attratte allo stesso modo da altri movimenti politici, non solo dal fascismo. In esso c'è anche qualcosa dell'ambiente leather (la moda ipervirile di vestirsi di cuoio, scarponi, di atteggiarsi a maschi tenebrosi e taciturni, n.d.c.). Rimane comunque non chiaro il rapporto fra fascismo, violenza maschile e omoerotismo. Credo sia una grossa componente della storia omosessuale, considerata in genere artistica, raffinata... parole che richiamano altri significati: degenerata, non aggressiva. Non ci sono dubbi, esiste una fastidiosa relazione fra un certo tipo di omoerotismo ed il fascismo, ma non voglio stereotipare questa connessione”.

Quale fu la posizione specifica del fascismo italiano sull'omosessualità? C'è una contraddizione fra la pratica di mandare al confino gli omosessuali, e il rifiuto da parte delle gerarchie fasciste di introdurre nel nuovo codice penale del 1930 il reato di omosessualità.
“E’ molto difficile dire qualcosa sul rapporto fra fascismo italiano ed omosessualità; mancano completamente degli studi in merito. La contraddizione che hai citato è vera. Tutto quello che posso dire io è che il fascismo italiano non si presentò mai come una Männerbund. Quindi non ebbe i problemi del nazionalsocialismo, non si dovette preoccupare dell’omosessualità. Il fascismo non presentandosi mai come “stato di maschi” si trova in una situazione diversa. A mio avviso devono essere studiate più attentamente le influenze che ebbero sul fascismo, fra le altre, il Futurismo e l'opera di Otto Weininger. I futuristi, soprattutto i francesi, come Breton ed altri, sono chiaramente contrari all’omosessualità. L'influenza di Weininger fu molto grande, specialmente sul razzismo, in tutt'Europa. Ma questa grande influenza si sostiene sul mito della
rispettabilità in due modi. Innanzitutto nell'accento sul dominio maschile, in secondo luogo nell'importanza della divisione del lavoro fra i sessi, tesi centrali in Weininger. Da qui la sua accusa agli ebrei di essere, in realtà, delle donne, e la sua accusa contro gli omosessuali di confondere i ruoli sessuali. Di seguito viene la sua tesi sul dominio dei maschi eterosessuali”.

Quale tipo di rapporto c'è, secondo Lei, fra l'internamento nei campi di concentramento degli ebrei e la repressione degli omosessuali?
“La relazione fra repressione degli omosessuali e internamento degli ebrei è indiretta. Il nazionalsocialismo credeva che gli ebrei fossero una razza, gli omosessuali invece contaminavano e distruggevano la razza. In questo senso la loro repressione aveva lo stesso significato dell'eutanasia dei malati di mente inguaribili, o in genere di tutti i deboli: tutti questi erano degli antitipi che mettevano in pericolo la razza. La differenza è che gli omosessuali sono, o possono essere, ariani, e come tali avere eventualmente una via d'uscita. Gli omosessuali nei campi di concentramento erano messi a vivere insieme alle donne, e coloro che reagivano opportunamente (cioè avevano rapporti con esse, n.d.c.) erano liberati, mentre quanti non lo fecero furono uccisi. Questo fa parte del razzismo. Di nuovo riappare il modello medico: entrambi indeboliscono ed infettano la razza. Ma gli omosessuali, e Himmler li considerava principalmente come prostituti, possono redimersi, perché sono tali solo per motivi di denaro. Tutto quello che dovevano fare era trovarsi un lavoro onesto e vivere insieme ad una donna, allora tutto sarebbe tornato a posto”.

E’ noto che i nazisti fecero molta pressione sui fascisti italiani perché introducessero ed applicassero leggi razziali. Ci fu pressione anche per l’omosessualità? E quale era la posizione personale del Duce?
“Non so quale fu e se ci fu una influenza nazista sul fascismo italiano sulla questione omosessuale; c’è bisogno di maggiori ricerche. Come ho già detto, comunque, in Italia la situazione era molto diversa, in quanto non essendo una Männerbund, e nemmeno una società razzista, bisogna ricordarlo, non ritenne mai troppo importante il problema dell’omosessualità. Il razzismo in Germania fu come un “ombrello”, sotto il quale ebrei, omosessuali, anziani, malati di mente furono eliminati. Questo “ombrello” mancò in Italia. Per quanto riguarda il parere personale di Mussolini non saprei dare una risposta precisa. In generale si può affermare che tutti i fascismi pensarono di rafforzare la morale e i costumi tradizionali. Tutti i fascismi, compreso quello italiano, vollero rafforzare il concetto di rispettabilità. Come si sa Claretta Petacci incontrò Mussolini solo in segreto, e pubblicamente l'immagine era quella familiare tradizionale. Questo vale per tutti i fascismi. Tutti furono allo stesso modo una operazione di recupero del concetto di rispettabilità, così come lo furono tutti i nazionalismi”.

Cosa pensa della possibilità di uno scoppio di razzismo antiomosessuale oggi?
“La possibilità di uno scoppio di razzismo antiomosessuale dipende da quanto si pensi che esso sia ancora in vita nei paesi sviluppati. Non parlo dei paesi sottosviluppati e nemmeno dell'Europa dell'Est. Ma per quanto riguarda i paesi sviluppati dell'Occidente penso che il razzismo sia allo stato latente, non proprio vivo. Non credo possa accadere nulla in questo periodo. Il problema di un ritorno di omofobia è invece una questione diversa. Penso che tutte le volte che la società si senta minacciata socialmente, politicamente, economicamente dagli eventi che sono al di fuori del suo controllo, tenderà a rinchiudersi, a stabilire distinzioni più marcate. Quando si verifica questo allora si avrà una situazione omofobica, e questo è possibile che accada. Tornando a quanto ho detto prima, bisogna guardare alla coesione della società: in che misura deve esserci? In una situazione estrema essa tende a rafforzarsi ed escludere sempre di più quanti considera come outsider. Si può nuovamente fare l’esempio di Proust: fino a quando l'ebreo Swann e considerato simpatico e divertente viene accettato, ma viene espulso dalla società che frequentava quando diventa un pericolo. Questa è la punizione che si può avere. In tempi difficili gli omosessuali diventavano un pericolo molto velocemente, è sempre stato cosi. Su questo sono molto pessimista”.

Lei ha affermato che lo scoppio del razzismo antisemita è legato a due condizioni: la presenza di una tradizione razzista, o antisemita, e la presenza di ebrei in posizioni pubbliche molto evidenti, come cariche di governo, leadership di movimenti politici, proprietà di grossi gruppi economici. Vale lo stesso per gli omosessuali?
“Per gli omosessuali la situazione è ovviamente diversa, prima di tutto perché non si può sapere se un ministro, o un capo politico, od un grande banchiere sia omosessuale. Fino a quando non scoppia uno scandalo; in genere accade così. Qualcosa di simile e accaduto in Germania. E poi gli omosessuali non sono chiaramente identificati come gruppo. Quindi credo che questa omosessualità cosi irriconoscibile sia molto più diffusa, e rappresenti una complessa componente della rispettabilità. Gli ebrei sono rispettabili, su questo non si può dire nulla. La differenza sta proprio qui: c'è una latente ostilità contro gli omosessuali basata su alcune profonde preoccupazioni sulla sessualità che ha la nostra società”.

Lo storico Yerushalmi riconosce nella memoria del passato una delle costanti principali del pensiero ebraico, e la maggiore radice della coscienza e della cultura del popolo degli ebrei. Lei pensa che gli omosessuali possano creare (o scoprire) una memoria collettiva ed individuale della loro storia, e fondare una loro specifica cultura?
“Credo sia molto importante per la dignità ed il rispetto di sé stessi che gli omosessuali conoscano la loro storia. Ogni gruppo ha una storia; come abbiamo visto dal '60 per la storia delle donne e dei neri, e per tutti i nuovi campi di ricerca storica apertisi, questi entrano a far parte – prima polemicamente, poi più ampiamente -, della Storia in generale. Sono molto addolorato del disinteresse per la storia dimostrato dagli omosessuali. Esiste a tutt’oggi una subculture omosessuale: sappiamo la ragione per cui esiste, ma essa è completamente, e molto antistoricamente, diretta ad una immediate soddisfazione, vivere e godersi il presente. Questo è incomprensibile per qualsiasi gruppo di persone potenzialmente minacciato. Alla fine questo tipo di vita crea negli omosessuali una certa insicurezza, perché non ci si pone in nessuna tradizione. Non sono parte di nessuna tradizione, non sono parte di... di quale tradizione possono far parte? In realtà gli omosessuali hanno una propria storia, come ogni gruppo, e questa storia non è separata dalla storia generale. E’ una componente della storia in generale, ma deve essere posta in luce, e questo è accaduto per le lesbiche e gli omosessuali solo negli ultimi cinque o dieci anni. Alla fine questa ricerca creerà una grande diversità, come è accaduto per i neri e per le donne. Come hai già detto gli ebrei sono molto coscienti della loro storia, ed anche le donne e i neri lo sono. Non è solo questione di avere dei ruoli o dei modelli di comportamento, questi si possono anche avere. Si tratta di sapere di appartenere ad una tradizione. E questa tradizione è parte dell'intera storia. Non si è del tutto fuori dal processo storico. Credo che alla lunga possa avere degli effetti sulla subcultura odierna, la cui esistenza è dovuta proprio alla difficoltà degli omosessuali di riconoscersi in qualche tradizione.
Spesso si è riconosciuto una tradizione nel modello di Oscar Wilde, o altri, identificandola in quanto si definisce come “degenerazione”.

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