mercoledì, aprile 29, 2015
Le donne nella Chiesa primitiva
Gli studiosi moderni hanno ormai riconosciuto che le dispute sul ruolo delle donne nella Chiesa primitiva si presentarono proprio perche' le donne rivestivano un ruolo spesso significativo e di alto profilo pubblico. E per di piu' fu così' fin dall'inizio, a cominciare dal ministero dello stesso Gesu'. E' vero che i piu' stretti seguaci di Gesu', i dodici apostoli, erano tutti uomini, com'era prevedibile per un maestro ebreo nella Palestina del I secolo. Ma i nostri piu' antichi vangeli rivelano che nei suoi viaggi Gesu' era accompagnato anche da donne e che alcune di esse provvedevano finanziariamente a lui e ai suoi discepoli, patrocinando il suo ministero di predicazione itinerante (vedi Mc 15,40-41; Lc 8,1-3) Gesu' viene descritto mentre si intrattiene in pubblico dialogo con alcune donne e le assiste (Me 7,24-30; Cv 4,1-42). In particolare, le donne lo accompagnarono durante il suo ultimo viaggio a Gerusalemme, dove furono presenti alla crocifissione e dove esse sole gli rimasero fedeli fino alla fine, quando i discepoli uomini erano fuggiti (Mt 27,55; Mc 15,40-41). Ma il fatto piu' importante e che ciascuno dei nostri vangeli rivela che furono delle donne, Maria di Magdala da sola o insieme a diverse compagne, a scoprire il sepolcro vuoto e dunque a essere le prime a sapere della resurrezione di Gesu' dai morti e a esserne testimoni (Mf 28,1-10; Me 16,1-8; Le 23,55-24,10; Cv 20,1-2).
E' interessante chiedersi che cosa nel messaggio di Gesu' attirasse in particolare le donne. Quasi tutti gli studiosi ritengono che egli annunciasse l'imminente regno di Dio, in cui non vi sarebbero piu' stati ingiustizia, sofferenza e male, in cui tutti, ricchi e poveri, schiavi e liberi, uomini e donne
sarebbero stati su un piano di parita'.
Era un messaggio di speranza che esercitava particolare fascino sugli emarginati del tempo: i poveri, i malati, i reietti e le donne.
In ogni caso, e' chiaro che anche dopo la sua morte il messaggio di Gesu' continuo' ad attirare le donne.
Alcuni dei primi avversari del cristianesimo fra i pagani, compreso per esempio Celso, il critico del II secolo che abbiamo incontrato in precedenza, denigravano questa religione col pretesto che era seguita soprattutto da bambini, schiavi e donne (cioe' da coloro che nel complesso della societa' non godevano di una posizione di rilievo).
E' degno di nota che Origene , autore della risposta cristiana a Celso, non negasse l' accusa, tentando piuttosto di rivoltarla contro Celso per dimostrare che Dio può prendere ciò che e' debole e investirlo di forza.
Tuttavia non e' necessario aspettare fino alla fine del II secolo per scoprire che nelle prime Chiese cristiane le donne svolgevano un ruolo di rilievo. E' la netta sensazione che ricaviamo già dall' apostolo Paolo, il primo autore cristiano le cui opere ci siano pervenute. Le sue lettere contenute nel Nuovo Testamento offrono prove piu' che sufficienti della posizione di preminenza che fin dagli esordi le donne detennero nelle comunita' cristiane emergenti.
Come esempio potremmo prendere in considerazione la Lettera di Paolo ai Romani al termine della quale l'apostolo invia i suoi saluti a diversi membri della congregazione (capitolo 16).
Benche' Paolo vi nomini piu' uomini che donne, e' chiaro che le donne non erano ritenute in alcun modo inferiori alle rispettive controparti maschili nella chiesa.
Paolo menziona Febe, per esempio, che e' diaconessa ( o ministro) nella Chiesa di Cencre e patrona dello stesso Paolo, cui egli affida il compito di portare la sua lettera a Roma (vv. 1-2). E Prisca, che insieme al marito Aquila e' responsabile dell'opera missionaria fra i gentili e ospita la congregazione cristiana nella sua casa (vv. 3-4: si noti che viene citata per prima, precedendo il marito). Poi vi sono Maria, una collaboratrice di Paolo che lavora tra i romani (v. 6), e Trifena e Triiosa, e Perside, donne che Paolo definisce «collaboratrici» nel vangelo (vv. 6-12).
E ancora Giulia, la madre di Rufo e la sorella di Nereo; tutte, a quanto pare, godono di un alto profilo nella comunita' (vv. 13,15).
II caso più notevole e' quello di Giunia, una donna che Paolo definisce «insigne fra gli apostoli» (v. 7).
II gruppo degli apostoli era senz'altro più numeroso dell'elenco dei dodici uomini noto pressoche' a tutti. In sintesi, le donne sembrano avere svolto un ruolo importante nelle chiese dell'epoca di Paolo. Entro certi limiti, questa alto profilo era inconsueto nel mondo greco-romano. E forse, come ho sostenuto, era fondato sulla proclamazione di Gesu' che nel regno futuro vi sarebbe stata uguaglianza fra uomini e donne. Questo pare essere stato anche il messaggio di Paolo, come si puo' constatare, per esempio, nella sua famosa dichiarazione della Lettera ai galati:
"Poiche' quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.
Non c'e' piu' giudeo ne greco, non c'e' piu' schiavo ne libero; non c'e' piu' uomo ne donna, poiche' tutti voi siete uno in Cristo Gesu' " (Gal 3,27-28).
L'uguaglianza in Cristo puo' essersi manifestata nelle vere e proprie funzioni di culto delle comunita' paoline. Invece di essere silenziose «ascoltatrici della parola», le donne sembrano essere state attivamente coinvolte nei settimanali incontri religiosi, partecipando, per esempio, con preghiere e profezie proprio come facevano gli uomini (1 Cor 11).
Nello stesso tempo, gli interpreti moderni possono avere l' impressione che Paolo non abbia portato la sua concezione del rapporto fra uomini e donne in Cristo a quella che poteva essere considerata la sua conclusione logica.
Per esempio, esigeva che quando Ie donne pregavano e profetizzavano in chiesa lo facessero a capo coperto, per dimostrare di avere sui capo il «segno della potestà'» (1 Cor 11,3-16, specie v. 10).
In altre parole, Paolo non incoraggiava una rivoluzione sociale nella relazione fra uomini e donne, proprio come non incoraggiava l'abolizione della schiavitu' pur sostenendo che in Cristo non esiste « schiavo né libero». Affermava invece che, poiche' «il tempo e' vicino" (all'avvento del regno), tutti avrebbero dovuto essere soddisfatti dei ruoli loro assegnati e nessuno avrebbe dovuto tentare di cambiare la propria condizione, fosse essa di schiavo, libero, sposato, nubile, celibe, maschio o femmina»(1 Cor 7,17-24). Nel migliore dei casi, il suo puo' essere dunque ritenuto un atteggiamento ambivalente nei confronti del ruolo delle donne: erano uguali in Cristo ed erano ammesse a partecipare alla vita della comunita' ma in quanto donne, non in quanto uomini (per esempio, non dovevano togliersi il velo e quindi mostrarsi come uomini, senza un segno della «potestà» sul loro capo).
Tale ambivalenza da parte di Paolo ebbe un'interessante ripercussione sul ruolo delle donne nelle Chiese di epoca successiva. In alcune fu l'uguaglianza in Cristo a essere enfatizzata, in altre la necessita' che le donne restassero subordinate agli uomini. Di conseguenza, in alcune Chiese le donne svolsero ruoli di guida di grande rilievo, in altre, la loro veste fu ridimensionata e le loro voci fatte tacere. Leggendo documenti successivi legati alle Chiese di Paolo, possiamo vedere che dopo la sua morte nacquero delle dispute sui ruoli che le donne avrebbero dovuto svolgere e alla fine si giunse al tentativo di cancellarli del tutto.
Una lettera scritta a nome di Paolo lo rende evidente. Nel complesso gli studiosi sono oggi convinti che la Prima lettera a Timoteo non fu scritta da Paolo, bensi' da uno dei suoi seguaci di seconda generazione.
Qui, in uno dei famosi (famigerati) brani neotestamentari riguardanti le donne, leggiamo che a loro non deve essere permesso di insegnare agli uomini, perche' furono create inferiori, come rivelato da Dio stesso nella legge; Dio creo' Eva per seconda, per l'uomo, e una donna (discendente di Eva) non deve pertanto dettar legge all'uomo (discendente di Adamo) tramite il suo insegnamento. Inoltre, secondo questa autore, tutti sanno cosa succede quando una donna assume il ruolo di insegnante: e' facile preda dell'inganno (da parte del diavolo) e allontana l'uomo dalla retta via. Le donne devono dunque stare a casa e mantenere le virtù loro proprie, partorire figli per i loro mariti e conservare la propria modestia. Come recita il brano:
"La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare e di dettare legge all' uomo, piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perche' prima e' stato formata Adamo e poi Eva; e non fu Adamo a essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potra' essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, una carita' e nella santificazione, con modestia "(1 Tm 2,11-15).
Sembra una posizione assai distante dalla tesi di Paolo che «in Cristo ... non c'è ... uomo né donna».
Con I'inizio del II secolo, le strategie sono ormai ben delineate. Alcune comunita' cristiane mettono in rilievo I'importanza delle donne e permettono loro di svolgere ruoli significativi nella Chiesa, altre credono che esse debbano stare in silenzio, sottomesse agli uomini della comunita'.
Gli scribi, che copiavano i testi che sarebbero poi divenuti le Sacre Scritture, furono senza dubbio coinvolti in questi dibattiti. E talvolta le dispute ebbero ripercussioni sul testo che veniva copiato, perché alcuni passi furono modificati al fine di riflettere le idee di coloro che li copiavano. In presenza di un cambiamento di questo tipo, quasi sempre il testo viene modificato per limitare il ruolo delle donne e ridurre al minimo la loro importanza per il movimento cristiano. In questa sede possiamo esaminare solo alcuni esempi.
Alterazioni testuali riguardanti le donne
Uno dei brani più importanti nella discussione contemporanea sul ruolo della donna nella Chiesa si trova nella Prima lettera ai corinzi, capitolo 14. Come esposto in quasi tutte le nostre moderne traduzioni, il brano recita quanto segue:
"..perche' Dio non e' un Dio di disordine, ma di pace.=
"Come in tutte le comunita' dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano, perché non e' loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge."
"Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti perché e' sconveniente per una donna parlare in assemblea. "
"Forse la parola di Dio e' partita da voi? O e' giunta soltanto a voi?"
Sembra una chiara e semplice ingiunzione alle donne di non parlare (figuriamoci insegnare!) in chiesa, assai somigliante al passo della Prima lettera a Timoteo, capitolo 2. Come abbiamo visto, tuttavia, la maggioranza degli studiosi e' convinta che Paolo non abbia scritto quest'ultimo brano, perché si presenta in una lettera che sembra essere stata vergata a suo nome da un seguace di seconda generazione. Al contrario, nessuno dubita che Paolo abbia scritto la Prima lettera ai corinzi. Ma esistono dubbi riguardo a questo passo. Risulta infatti che in alcune delle nostre testimonianze testuali fondamentali i versetti in questione (vv. 34-35) siano cambiati di posto. In tre manoscritti greci e in un paio di testimonianze latine, essi non figurano dopo il versetto 33, ma piu' avanti, dopo il versetto 40.
Cio' ha indotto alcuni studiosi a ipotizzare che non siano stati scritti da Paolo, bensi' traggano origine da una sorta di nota a margine aggiunta da uno scriba, magari sotto l'influsso della Prima lettera a Timoteo, capitolo 2. La nota sarebbe poi stata inserita da copisti diversi in punti diversi del testo: alcuni l'avrebbero collocata dopo il versetto 33 e altri dopo il versetto 40.
Vi sono buoni motivi di ritenere che in origine Paolo non avesse scritto questa passo. Tanto per cominciare, non si accorda bene con il rispettivo contesto. In questa parte della Prima lettera ai corinzi, capitolo 14, Paolo affronta la questione della profezia nella Chiesa e impartisce ai profeti cristiani istruzioni in merito a come comportarsi durante Ie funzioni di culto. Questo e' il tema dei versetti 26-33 e torna a essere quello dei versetti 36-40. Eliminando i versetti 34-35 dal rispettivo contesto, il brano sembra scorrere senza soluzione di continuità' come un'analisi del ruolo dei profeti cristiani. L'argomento delle donne appare quindi inopportuno nel suo immediato contesto, poiche' interrompe Ie istruzioni di Paolo su una questione diversa.
Nel contesto del capitolo 14, i versetti non solo sembrano inopportuni, ma anche contraddittori rispetto a cio' che Paolo dice in modo esplicito altrove nella Prima lettera ai corinzi. Come già osservato, infatti, in quell'epistola Paolo impartisce istruzioni alle donne che parlano in chiesa: stando al capitolo 11, quando parlano e profetizzano (attività che veniva sempre svolta ad alta voce nelle funzioni di culto cristiane) devono accertarsi di indossare un velo sui capo (11,2-16). In questa brano, che nessuno dubita sia stato scritto da Paolo, risulta chiaro che l'apostolo intende che le donne possono parlare in chiesa e che cosi fanno. Nel controverso brano del capitolo 14, tuttavia, e altrettanto chiaro che «Paolo» proibisce alle donne di parlare in , assoluto, e' difficile conciliare Ie due concezioni: o Paolo permetteva alle donne di parlare (a capo coperto, capitolo 11) oppure non lo permetteva (capitolo 14). Dal momento che sembra irragionevole pensare che l' apostolo si contraddica a tal punto nel breve spazio di tre capitoli, è palese che i versetti in questione non provengono da lui. E cosi' in base a una combinazione di prove (diversi manoscritti con i versetti collocati in punti diversi, l'immediato contesto letterario e quello della Prima lettera ai corinzi nel suo complesso), sembra che Paolo non abbia scritto 1 Cor 14,34-35. Si dovrebbe dedurne, dunque, che questi versetti siano un'alterazione del testo introdotta dai copisti, nata forse come nota a margine e poi, alla fine collocata all'interno del testo stesso in una fase iniziale della copiatura della Prima lettera ai corinzi. L'alterazione fu senz'altro opera di uno scriba preoccupato di enfatizzare la norma che le donne non avrebbero dovuto rivestire un ruolo pubblico nella Chiesa, che sarebbero dovute restare in sitenzio e subordinate ai mariti. L'opinione finì per essere inserita nel libro stesso mediante un'alterazione del testo.
Potremmo dedicare un breve esame a numerose altre modifiche testuali di tipo analogo. Una si presenta in un brano cui ho gia' accennato, il capitolo 16 della Lettera ai romani, in cui Paolo parla di una donna, Giunia, e di un uomo che presumibilmente ne era il marito, Andronico, definiti entrambi " insigni fra gli apostoli» (v. 7). E' un versetto importante, perche' e' l' unico punto del Nuovo Testamento in cui si definisce una donna «apostolo». II passo ha molto colpito gli interpreti, numerosi dei quali hanno sostenuto che il suo significato dovesse essere diverso e cosi hanno tradotto il versetto non come riferito a una donna di nome Giunia, bensi' a un uomo di nome Giunio che, insieme al suo compagno Andronico, viene lodato come apostolo. La difficolta' di questa traduzione e che, mentre Giunia e' un nome comune per una donna, per «Giunio» come nome maschile non esistono testimonianze nel mondo antico. Paolo fa riferimento a una donna di nome Giunia, pur se in alcune moderne Bibbie inglesi i traduttori continuano a riferirsi a questa apostolo donna come se fosse un uomo di nome Giunio. Anche alcuni scribi avevano difficolta' ad attribuire l' apostolato a questa donna altrimenti sconosciuta, cosi inserirono una lievissima modifica nel testo per eludere il problema.
In alcuni dei nostri manoscritti, invece di: «Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia, che sono insigni fra gli apostoli», il testo e' modificato in modo da consentire di essere tradotto con maggiore facilita' come: «Salutate Andronico e Giunia, miei parenti, e salutate anche i miei compagni di prigionia che sono insigni fra gli apostoli». Il cambiamento apportato elimina la necessita' di preoccuparsi che una donna sia citata nel gruppo maschile degli apostoli!
Una modifica analoga fu effettuata da alcuni scribi che copiarono il libro degli Atti. Nel capitolo 17 apprendiamo che Paolo e il suo compagno missionario Sila trascorsero un periodo a Tessalonica predicando il vangelo di Cristo agli ebrei della locale sinagoga. Nel versetto 4 si legge che la coppia fece alcuni importanti proseliti: «Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un buon numero di greci credenti in Dio e non poche donne illustri». Per certi scribi l' idea di donne importanti (per non parlare di illustri proseliti di sesso femminile) era troppo e cosi' in alcuni manoscritti il testo venne modificato come segue: «Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un buon numero di greci credenti in Dio e non poche mogli di uomini illustri». A questa punto sono gli uomini a essere importanti, non le mogli che si convertirono. Tra i compagni di Paolo negli Atti figuravano un uomo e sua moglie, chiamati Aquila e Priscilla; qualche volta, quando vengono citati, l'autore da prima il nome della moglie, come se avesse particolare importanza nel rapporto o nella missione cristiana (come succede anche in romani 16,3, dove viene chiamata Prisca). Non stupisce che alcuni scribi si siano risentiti di questa ordine e l'abbiano invertito, in modo che l'uomo avesse cio' che gli spettava essendo menzionato per primo: Aquila e Priscilla invece di Priscilla e Aquila.
In breve, nei primi secoli della Chiesa il ruolo delle donne fu oggetto di dibattiti che talvolta si estesero all'ambito della trasmissione dei libri neotestamentari stessi, poiche' alcuni copisti li modificarono al fine di renderli piu adeguati alla propria convinzione del (limitato) ruolo delle donne nella Chiesa.
EHRMAN, BART D.,
Gesù non l'ha mai detto.
Millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei vangeli,
Milano, Mondadori 2007 pag.206-215
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