Ricevo da Anna S. e lo pubblico: mi pare un buono stimolo a a riflettere sui significati che attribuiamo alle parole che usiamo... e su come possono condizionate le nostre vite.
""Mi trovo spesso a leggere il termine "normale" con tutte le sue sfumature. Io stessa uso spesso il termine normale quando uso la frase (non mia, ma fatta mia) che io vivo una "normale diversità".
Cosa c'è di normale nella realtà quotidiana di una persona? Cosa di normale nell'intreccio complicatissimo di relazioni che una persona stabilisce ed esprime durante una giornata? Cosa è questa fantomatica "normalità" che si continua a paventare e reclamare in modo ossessivo?
La norma è che siamo tutte e tutti diversi? Ma questo non significa di fatto che ci assoggettiamo comunque sia ad una "norma" che ci sovrasta e di fronte alla quale noi deleghiamo integralmente la possibilità di poterla interpretare e dare senso?
A cosa serve che noi si debba avere necessariamente una "norma" di riferimento? Non bastano le leggi che ci consentono un vivere comune e che regolano i rapporti fra persone? No! Non bastano perché noi cerchiamo la normalità, ovvero? Cerchiamo che ci venga dato la patente della legittimità della nostra realtà umana oppure che questa sia ritentua di fatto una realtà umana? Se è una realtà umana di fatto, e lo è nella sua diversità, perché pretendere la etichetta di "normalità"?""
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