martedì, aprile 29, 2008

da pnm09

CINA E INDIA

I FILI CHE LEGANO GLI OGM L'INFLAZIONE E IL TIBET

di Bill Emmott
© Bill Emmott/Guardian News & Media 2008 dal Corriere della Sera del 17/04/08

Traduzione a cura dello Iulm

Di questi tempi, segnati da difficoltà economiche, la parola disaccoppiamento indica non tanto qualcosa che è accaduto subito prima di accendersi una sigaretta, ma la speranza diffusa tra economisti e investitori che i Paesi in via di sviluppo, specie i colossi emergenti Cina e India, non saranno colpiti dalla stretta creditizia né dalla recessione americana e diventeranno anzi una fonte alternativa di crescita a sostegno dell'economia mondiale.

Effettivamente, se la crescita cinese e indiana contribuirà allo sviluppo globale, è necessario che queste due economie siano accoppiate, non sganciate - ma sono giochi di parole del gergo finanziario. La buona notizia è che rimarranno abbastanza unite e difatti forniranno il loro sostegno, secondo quanto affermato dal Fondo monetario internazionale il 9 aprile nelle sue, per altri versi, pessimistiche previsioni globali. Non manca tuttavia la brutta notizia: anche queste economie hanno problemi interni, soprattutto l'inflazione, e gli interventi per riportarla sotto controllo rischiano di danneggiare altri Paesi poveri.

Durante la recessione americana ed europea degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta, i Paesi poveri soffrivano perché dipendevano dalle esportazioni in Occidente e dagli ingenti prestiti concessi dalle banche occidentali. Quando le esportazioni crollarono e i banchieri sparirono, scoppiò la crisi creditizia degli anni Ottanta in America Latina, si aggravò il fardello dei debiti privati e statali in Africa, e si innescò in Asia nel 1997 una gravissima crisi dei mercati emergenti.

Nel decennio successivo al 1997, il mondo economico ha subito notevoli cambiamenti. In particolare i Paesi asiatici, ma anche molti Paesi latinoamericani, tutti quelli del Golfo e alcuni africani, si sono trasformati da importatori in fortissimi esportatori di capitali. Non dipendono più da banche straniere. Anzi, i fondi sovrani cinesi, arabi e di Singapore si danno attivamente da fare per salvare quelle stesse banche, acquistando ingenti pacchetti azionari di istituti come Merrill Lynch, Citigroup e Ubs.

Il capitale asiatico e arabo, infatti, è in parte colpevole per gli eccessi del mercato finanziario occidentale, di cui oggi ci si lamenta tanto. Molti, come Joseph Stiglitz, hanno accusato la Federal Reserve di aver favorito il credito con troppa facilità, e imputano sia alla Fed che ad altri istituti di controllo di non aver vigilato su ciò che stava accadendo. È un'accusa giusta, ma incompleta: la Fed controlla solo i tassi d'interesse a breve termine, mentre la causa del boom creditizio è da ricercare nei costi dei prestiti a lungo termine, che sono rimasti sorprendentemente contenuti - proprio grazie alla valanga di capitali arabi e asiatici, investiti in titoli americani allo scopo di sostenere il dollaro e scongiurare la rivalutazione della loro moneta.

Tuttavia, nonostante l'enorme deficit commerciale americano e l'enorme surplus cinese, gran parte dei Paesi poveri dipende oggi in misura molto inferiore dalle esportazioni verso il consumatore americano, assai meno spendaccione che in passato. La Cina esporta di più nell'Unione Europea che negli Stati Uniti. Un quarto dello straordinario Pil cinese, l'anno scorso all'11,9%, è dovuto alla crescita delle eccedenze della sua bilancia commerciale e solo una frazione di questo all'incremento delle esportazioni verso l'America. Cosi, anche se queste dovessero crollare, il suo tasso annuale di crescita si ridurrebbe di poco più di un punto percentuale, o al massimo due.

La continua crescita di Cina e India è finanziata dai risparmi cinesi e indiani: l'India ha ancora un piccolo deficit nella bilancia dei pagamenti e ha bisogno di qualche prestito straniero, ma si tratta di poca cosa. Gli enormi investimenti in questi Paesi, convogliati nella costruzione di nuove strade, palazzi, porti, aeroporti e fabbriche, continueranno a crescere, indipendentemente da ciò che accade in America, e questo significa che la grande richiesta di energia e materie prime da parte di Cina e India aumenterà di pari passo, una vera e propria manna per tutti i Paesi poveri che ne sono i fornitori.

Purtroppo, proprio qui si notano le prime crepe nella grande struttura globalizzata. Lo sviluppo degli scambi commerciali tra i Paesi più poveri rappresenta il lato positivo della globalizzazione, come pure il flusso di capitale tra di loro, che sosterrà la crescita globale. Oggi però il lato negativo è rappresentato dal mix tra l'abbondante afflusso di capitali e l'aumento dei prezzi delle merci, che minaccia di far ricomparire il vecchio flagello dell'inflazione in molti Paesi poveri, ma anche in Cina e India.

Il tasso di inflazione cinese ha toccato l'8,7% annuale fino a febbraio, il più alto tasso del decennio. L'India ha raggiunto il 796, il livello più alto degli ultimi tre anni, nell'anno concluso a marzo. L'inflazione ha superato l'8% anche in Indonesia, Cile, Argentina, Pakistan, Sudafrica, Turchia e in molti altri Paesi in via di sviluppo. La causa immediata va ricercata nel rialzo dei prezzi degli alimentari e dell'energia, che rappresenta una minaccia politica in tutti i Paesi, ma specialmente in Cina. Le recenti ribellioni in Tibet agitano il vessillo della religione e dell'autonomia, ma la miccia è stata accesa anche dal rancore per le diseguaglianze sociali ed economiche e l'inflazione, che sembrano favorire i colonizzatoli cinesi a scapito dei tibetani.

Il motivo scatenante di questa impennata dell'inflazione resta sempre quello illustrato da Milton Friedman, variamente santificato o demonizzato: un eccesso di liquidità in un momento in cui i beni scarseggiano. Le eccedenze del capitale asiatico e arabo costituiscono la liquidità, e sebbene siano state investite in nuove miniere, giacimenti petroliferi e simili per produrre più merci, il processo è lento. E intanto altri due grattacapi internazionali stanno spingendo al rialzo il prezzo degli alimenti: la decisione di utilizzare biocarburanti al posto del petrolio e l'opposizione agli Ogm, che ostacola il rendimento delle coltivazioni, tanto nei Paesi poveri come in quelli ricchi, azzerando le possibilità di una nuova «rivoluzione verde», come quella degli anni Sessanta.

Presto, probabilmente dopo le Olimpiadi di Pechino, la Cina dovrà impegnarsi a domare l'inflazione, rivalutando la sua moneta e imponendo freni più efficaci all'espansione monetaria. Se non lo farà, si ritroverà a dover usare il pugno di ferro per reprimere i rivoltosi, e non solo in Tibet. Un esempio che altri Paesi in via di sviluppo dovranno seguire. Ne conseguirà una crescita più lenta nei Paesi poveri e forse un possibile crollo dei corsi commerciali. Una volta tanto, non sarà colpa dell'America.

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