14 maggio 2010 01:16
Moses Finley, nel suo La democrazia degli antichi e dei moderni, Laterza, Bari, del 1973, ci ricorda che le democrazie liberali generano apatia nei cittadini, facendo riferimento alla delocalizzazione dei messaggi politici.
Il fatto che i dibattiti politici avvengano sostanzialmente in televisione, che è per definizione un "vedere da lontano quello che non è qui con me", sviluppa il concreto allontanamento della mente dei telespettatori da quello che ascoltano e vedono.
Oggi, inoltre, anche le tematiche sociali, culturali e educative sono "telecomunicate" e dunque anche loro sono lontane dall'essere percepite come proprie, vicine alla propria vita.
Finley ha intravisto in questo processo la perdita della dimensione collettiva d'appartenenza ad una comunità, con il conseguente rischio di allontanare gli individui persino dai diritti umani. È come se oggi, tutto quello che ci accade avesse un senso solo nel ristretto ambito dell'accaduto, ma non acquistasse valore se non viene telecomunicato. Nel fare questo, ossia nel creare in effetti uno spostamento dal luogo del fatto al luogo del comunicato, la nostra mente lentamente confonde il vero con il visto televisivamente.
E, giorno dopo giorno, il nostro cervello comincia a credere che se un fatto è televisivamente comunicabile è davvero un fatto, altrimenti è solo una banalissima storia di vita.
Se ora la vita è solo quella televisiva, l'esistenza trova i suoi santoni in quelle trasmissioni fintamente "reality". Vi invito infatti a chiedervi perché da una televisione che filmava il vero (prima dell'avvento di quella commerciale), oggi si senta la necessità di inventare dei format che raccontino il vero sotto forma di reality, di realtà. Vuole forse dire che se si deve inventare la realtà alla televisione, è proprio la televisione stessa che non riesce più a filmarla, a raccontarla?
Forse sì, anzi… credo proprio di sì.
Tutti voi sapete che una delle caratteristiche "più pericolose", nel senso che contiene in sé aspetti tanto positivi quanto negativi, dell'apprendimento umano si chiama "abituazione".
Essa è la capacità della nostra mente di subire un'eccitazione neuronale sempre meno cospicua di fronte ad uno stimolo che si presenta continuamente.
A forza di andare al lavoro in autobus tutte le mattine, e a forza di essere sommerso dal rumore del traffico cittadino, finisco per non sentire più il frastuono del traffico ed essere in grado di parlare con il mio vicino di posto, credendo persino che attorno a me ci sia "silenzio".
La mente umana si difende in questo modo, e nello stesso tempo risparmia una gran quantità d'energia concentrandosi solo su quello che le interessa, e lascia correre il resto. In sostanza, grazie all'abituazione, il nostro cervello è in grado di indirizzare la sua attenzione dove meglio crede, senza perdere il totale controllo di un'abitudine che diventa un automatismo.
Più la mente umana si abitua a dedicare una parte cospicua all'abituazione, più si avvicina alla perdita progressiva di consapevolezza. Più ci abituiamo a vedere i reality e più la mente umana diventa insensibile alla realtà quotidiana che è rappresentata dalla televisione, anche quando sono ripetute scene sorprendenti.
Ci si abitua alla sorpresa, sino a quando nulla sorprende più.
Ci si abitua alle risse televisive, alle inutilità di una politica sempre meno locale, e sempre più immaginata.
In questo modo, lentamente, assistiamo al disconoscimento dei doveri di una comunità, che rischia la disgregazione.
Occorre secondo me chiedersi ora: in questo processo d'erosione, costante e continua, della partecipazione concreta e non televisiva, quale ruolo riveste la televisione nella lacerazione del legame sociale fra gli uomini con le cose del mondo?
Non so fino a che punto si riuscirà a frenare questo modello di sviluppo della comunicazione, perché lo vedo troppo colluso con un modello di sfruttamento economico che continua a persistere, nonostante sia stata decretata la sua fine almeno dal 2001.
Ma un demos inconsapevole è incapace di difendere la propria libertà… che è costituita inizialmente di radici.
Il prezzo della libertà, afferma il mio caro Karl Popper, è l'eterna vigilanza.
Auguri a tutti noi, ne abbiamo davvero bisogno…
Alessandro Bertirotti
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