giovedì, marzo 28, 2013

Convegno Finanza e potere nella Chiesa -16 febbraio 2013 - relazioni integrali e dibattito

Finanza e potere nella Chiesa#1
II Convegno sul rapporto tra Dio e Cesare nell'epoca della secolarizzazione

Roma, Collegio del Verbo Divino
16 febbraio 2013


Alle radici del connubio trono-altare

Bertolt Brecht, nel giugno 1935, concludeva il suo primo richiamo agli scrittori di sinistra riuniti a congresso per la "difesa della cultura", con la nota esortazione, «Compagni, parliamo dei rapporti di proprietà!». Quello di Brecht era un invito a tornare alla madre di tutte le questioni, quale base di ogni impegno degli intellettuali nel contrasto ai regimi fascisti che si imponevano in tutta Europa ed al blocco sociale che li sosteneva e finanziava. Nella Chiesa la madre di tutte le questioni, la radice del perverso rapporto tra trono ed altare è quel potere economico finanziario che negli ultimi decenni è diventato sempre più pervasivo e determinante negli equilibri interni al sistema ecclesiastico, come nell'azione della Chiesa nella sfera temporale. E proprio "Finanza e potere nella Chiesa" è stato il tema al centro del convegno organizzato da diverse realtà ecclesiali di base - il secondo sul "rapporto tra Dio e Cesare nell'epoca della secolarizzazione" (v. Adista n. 81/11) - che si è svolto a Roma il 16 febbraio scorso. Tre relazioni al mattino (Marina Caffiero, Sergio Tanzarella, Ferruccio Pinotti), cui è seguito un ampio ed articolato dibattito; una tavola rotonda al pomeriggio (con Giovanni Franzoni, Gian Mario Gillio, Enzo Marzo, Flavia Zucco), sulla profezia di una Chiesa integralmente, radicalmente ed evangelicamente povera, a partire dal cosiddetto "Patto delle catacombe" sottoscritto da 40 padri conciliari nel 1965, prima di lasciare Roma.

Adista, che di quell'incontro era tra i promotori (assieme a Confronti, alla Comunità Cristiana di Base di S. Paolo, al Gruppo di Controinformazione Ecclesiale di Roma, al nodo romano di Noi Siamo Chiesa, a Nuova Proposta), offre in queste pagine le relazioni integrali svoltesi nella mattinata ed un'ampia sintesi del dibattito che ne è scaturito. Ricordiamo in ogni caso che Radio Radicale ha registrato sia in audio che in video tutti i lavori della giornata e li ha resi disponibili sul suo sito internet, all'indirizzo http://www.radioradicale.it/scheda/373074?format=52


Italia,

Stato "pontificio"

Giovanni Avena

L'Editto di Costantino di 1700 anni fa (quello che poneva ufficialmente termine a tutte le persecuzioni religiose e proclamava la neutralità dell'Impero nei confronti di qualsiasi fede, ndr) è un falso, ma la donazione che Costantino fece a papa Silvestro I è vera: gli regalò Roma. E da quel momento il potere temporale ha dilagato.

Da studente liceale rimasi impressionato imbattendomi, nella Divina Commedia - nella terza bolgia dell'ottavo cerchio dell'Inferno, quella dei simoniaci - in Dante che grida: «Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!».

Costantino ha dato Roma al papa e questi dopo si è preso ben altro. Poi ci ha pensato Mussolini a rinnovare il potere temporale, e quando il potere della Chiesa si è apparentemente indebolito è arrivato Craxi, e con lui il Nuovo Concordato e una pioggia di soldi.

E le gare di donazioni. Sì, perché i governi di centrodestra e di centrosinistra hanno fatto a gara per dare alla Chiesa quanto più potevano, per farsi belli agli occhi di papi e cardinali. Potrà forse sembrare esagerato ma, a mio avviso, viviamo in una sorta di Stato pontificio parallelo. L'Italia è invasa da televisioni, radio, giornali di matrice cattolica e non di matrice cattolica plurale, bensì unica. È impregnata di pensiero unico: il pensiero del Vaticano, il pensiero della gerarchia. Tutte le altre realtà, per fortuna numerose, del mondo cattolico vengono sistematicamente ignorate.

La Chiesa cattolica può disporre in ambito comunicativo di 200 settimanali diocesani e 300 testate di altro genere. Ma non basta. Può contare su 30mila pulpiti domenicali, 100mila catechisti e 25mila insegnanti di religione: non sono tutti in qualche modo impegnati nella comunicazione della Chiesa? L'Università cattolica e le università pontificie hanno un'influenza, o no? Tre quotidiani cattolici (Avvenire, L'Eco di Bergamo e Il Cittadino di Lodi) che ricevono gli aiuti dello Stato contano qualcosa, o no? E ci sono poi le riviste delle congregazioni religiose, 240 emittenti radiofoniche e 450 librerie cattoliche.

Ma passiamo alla televisione: la Rai - e quindi lo Stato a spese dei contribuenti - tiene in piedi una struttura che si chiama Rai Vaticano, funzionante 24 ore su 24 per assicurare informazioni dal Vaticano. Solo dal Vaticano. Ed è una struttura che, pur essendo dello Stato, è sottoposta a un'altra struttura: il Centro televisivo vaticano.

Non parliamo neppure di chi ha diretto dal 2010 a oggi questa struttura: un amico del card. Tarcisio Bertone, un riconosciuto affarista, Marco Simeon, sostituito in questi giorni da Massimo Milone, che è, tra le altre cose, un ex giornalista di Avvenire. È sempre l'istituzione a fornire la voce.

Senza contare poi che la presenza cattolica nei dibattiti televisivi deve passare per il nullaosta della Cei o del Vaticano. E non parliamo di tutte le ore che la tv italiana dedica alla Chiesa. Le sante messe ogni domenica, l'angelus, le vie crucis, i riti della Settimana Santa, le rubriche (A sua immagine, Le ragioni della speranza, Sulla via di Damasco, Comunità, Uomini e profeti, Oggi 2000, La bibbia giorno e notte), le benedizioni urbi et orbi, le vite di santi, preti e suore, le serate dedicate a padre Pio. È questa comunicazione, è questa presenza della Chiesa, a fare a mio avviso dell'Italia uno Stato Pontificio.


Le ragioni del Vangelo e quelle di Costantino:

un bivio ricorrente nella storia della Chiesa

Marina Caffiero

Il convegno di oggi si svolge quasi in simultanea con la rinuncia di Benedetto XVI, ma rinvio solo alla fine del mio intervento un breve commento. In ogni modo, a mio parere, essa ha un rapporto con il mio discorso che si riferisce ai vari falliti tentativi che nella storia si sono succeduti allo scopo di riformare la Chiesa e il suo governo dall'interno e per mutare la stessa concezione del papato e del suo potere.

Sono stata contattata e invitata dagli organizzatori di questa giornata – che ringrazio – in quanto storica e il mio intervento sarà appunto da storica dell'età moderna, che si è occupata a lungo di storia della Chiesa dei secoli passati, in particolare della lunga fase che corre tra Cinque e Settecento. Dunque, una storia apparentemente lontana, ma credo che, come sempre avviene, la prospettiva storica di lungo periodo possa contribuire efficacemente a inquadrare il peso, la longevità, la continuità delle scelte operate all'interno del rapporto tra Vangelo e Costantino, tra religione e potere. Il "bivio ricorrente", segnalato nello stesso titolo del mio intervento, intende sottolineare la permanenza e le motivazioni nel tempo storico di una ambivalenza drammatica che ha inciso pesantemente nella storia della Chiesa per quanto riguarda i modi in cui essa ha declinato il suo rapporto con la ricchezza e il potere. Qualunque fase noi consideriamo nella storia della Chiesa, troviamo ricorrentemente la tensione oppositiva tra l'autorità e l'organizzazione ecclesiastico-curiale, da un lato, e la riproposizione continua e radicale del messaggio evangelico, per lo più da parte di minoranze, dall'altro lato; vale a dire, ritroviamo il tentativo – sempre fallito, ma sempre perseguito – di rimettere in gioco l'ordine costituito, ma non nella forma dell'eresia bensì dall'interno stesso del nucleo della fede cristiana nella sua quotidianità. Pensiamo ad alcuni modelli totali di santità, come quello di Francesco di Assisi, ma anche a modelli più vicini a noi, al loro appannamento o perfino alla loro emarginazione e alla rinascita continua, carsica e ciclica di nuove tensioni e aspirazioni e di nuove proposte. Naturalmente anche " Costantino" appare nel titolo del mio intervento come metafora della commistione tra trono e altare, tra potere temporale e potere spirituale, tra eredità costantiniana della Chiesa e autonomia dello spirituale, tra interessi materiali e tradimento del dettato evangelico e di una Chiesa dei poveri e al servizio dei poveri. Ma anche come spia di quanto sia stata distorta in direzione di ben altre strategie e finalità proprio l'espressione "Chiesa dei poveri e al servizio dei poveri".

Vorrei cominciare da Michelangelo Buonarroti e dalla basilica di San Pietro, modello principe di una magnificenza sacra e tempio per eccellenza della Controriforma, nonché simbolo della opposizione tra la "religione del Tempio" e quella interiore. Il problema della magnificenza non investe solo il rapporto tra gloria di Dio ed esperienza religiosa, ma anche quello del rapporto tra il religioso e il costo materiale, nonché della destinazione delle finanze. E, come è noto, la costruzione della basilica, con la vendita delle indulgenze, fu uno degli elementi scatenanti dello scisma protestante nella Chiesa. Molti all'epoca, nel primo Cinquecento, si posero il problema etico, e tra questi lo stesso Michelangelo, coinvolto in una sorta di ossessione dei costi della grandiosa basilica che lo indusse all'atto, di generoso disinteresse, di rinunciare al salario di architetto "per servizio di Dio e di Santo Pietro" (R. De Maio, Michelangelo e i costi della sacra magnificenza, in Chiesa e denaro tra Cinquecento e Settecento, a cura di U. Dovere, Cinisello Balsamo, 2004, p. 328). Nel vocabolario usato dal grande artista nelle sue scritture e perfino nei colloqui con il pontefice troviamo le parole latrocinio, ruberie, denaro della Chiesa e sangue dei poveri, bottega, traffico, che rivelano la piena consapevolezza del commercio delle indulgenze che, anche dopo la denuncia di Lutero, sosteneva il cantiere della nuova basilica. Ma anche sul piano architettonico ci furono segnali inequivocabili di una svolta "costantiniana". Lo stravolgimento definitivo della simbologia della basilica così come l'aveva pensata Michelangelo si ebbe quasi subito, dopo la morte del maestro, con la sostituzione della pianta a croce greca, quella con quattro bracci di eguale misura che esprimeva la centralità della liturgia e l'eguaglianza dei fedeli, con la croce latina, a bracci di diversa lunghezza, con la quale meglio si affermava il primato della potenza pontificia. A ciò si aggiunse anche la falsificazione simbolica della cupola in cui Bernini, successivamente, ritrovava la tiara pontificia, mentre Michelangelo vi aveva proiettato l'anelito all'infinito della creatura finita. Ma il massimo dello stravolgimento si verificò nel secolo successivo, quando papa Urbano VIII Barberini, paladino della ideologia della magnificenza papale oltre che di quella familiare, devolse il 10% del bilancio dello Stato Pontificio alla costruzione del baldacchino. A basilica compiuta, perfino Cesare Baronio, il padre della storiografia ecclesiastica moderna, lamentava, cogliendone il senso simbolico, la distruzione della basilica di Costantino, di cui Michelangelo aveva cercato di salvare i ruderi, oggi conservati nelle Grotte vaticane.

Ho voluto ricordare questa vicenda perché mi sembra molto significativa se si vuole approfondire nel lungo periodo il rapporto tra Chiesa, denaro e potere, tenendo conto dello scarto esistente tra la rappresentazione - nei trattati o nella predicazione - di un ideale (le finanze finalizzate alle esigenze del culto e all'assistenza ai poveri) e le pratiche reali concrete. E d'altra parte, se si intende analizzare i rapporti tra gli uomini di Chiesa e il danaro, tale indagine include obbligatoriamente sia la tematica delle giustificazioni date alle usanze e ai comportamenti diffusi, sia quella delle critiche formulate verso questi usi, critiche provenienti dall'interno della Chiesa e dai fedeli e anche dall'esterno ((B. Dompnier, Défis religieux et défis culturels entre Réformes et Lumières, in Chiesa e denaro, p. 349). Quello del rapporto tra ideali e realtà, tra discorsi e pratiche, è un campo ancora poco studiato dagli storici, anche se non mancano studi sui discorsi della teologia morale a proposito del buon uso delle ricchezze o sulla evoluzione nel tempo della concezione della povertà (cfr. le ricerche di Bronislaw Geremek, La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa, Laterza, 1986). Ma lo studio dei rapporti tra Chiesa, clero e finanza merita di essere seguito, più che sui trattati, soprattutto sul piano delle tensioni che le pratiche e i costumi rivelano tra un ideale evangelico e l'adattamento dell'istituto ecclesiale all'ambiente e al contesto in cui operava. La Chiesa, infatti, al di là del livello di attaccamento ai suoi principi fondatori, si adatta ai sistemi politici e economici nei quali si sviluppa e ne adotta i valori dominanti: e questo dato va esplicitato anche se l'istituzione ecclesiastica si comportasse in tal modo soltanto per assicurarsi la permanenza materiale e dotarsi dei mezzi necessari alla sua azione pastorale e caritativa. Generazioni di chierici hanno così lavorato nell'età medievale e moderna a rafforzare le fortune e il patrimonio della Chiesa, persuasi di operare nell'interesse dell'istituzione e dei fedeli, anche se qualcuno poteva trovare eccessiva questa accumulazione. Ma, al di là di ogni buona volontà, il sistema beneficiale - cioè quello basato sulla remunerazione degli uffici ecclesiastici attraverso le rendite di un beneficio, cioè di una porzione del patrimonio della Chiesa (ad esempio, ne godevano le stesse parrocchie per la cura di anime), che dominò per secoli e che solo i riformatori giansenisti del Settecento e i rivoluzionari francesi cercarono di scardinare - ebbe pesantissime conseguenze sul rapporto clero/denaro: infatti, dal momento che il beneficio portava la sicurezza di entrate, esso costituiva un motivo di attrazione verso lo stato di ecclesiastico, considerato come una sistemazione sociale, più che una missione pastorale, e una spinta a cercare benefici ancora più lucrativi, che spesso diventavano ereditari da zio a nipote. Il sistema beneficiale, specie nelle zone rurali, tendeva a trasformare il prete in notabile e cioè in uomo di potere che controllava una vasta rete clientelare (Dompnier, p. 355).

Recentemente, nel 2004, un acceso dibattito storiografico si è svolto tra i professori di storia della Chiesa, intorno al tema Chiesa e denaro tra Cinquecento e Settecento. Uno di essi, Oscar Nuccio, ha insistito sui trattati dottrinali e canonici per ricordare come essi insistessero, nel corso dei secoli, sul rispetto delle regole di povertà e sulla condanna della ricchezza, a partire da Anselmo d'Aosta e dalla sua equiparazione tra usura e furto. Scopo dell'autore è smentire la tesi dominante tra gli storici economici (anche cattolici) secondo la quale la nascita dell'economia politica come scienza è un prodotto della riflessione etico-economica di teologi e canonisti, dal Medioevo fino al Settecento, ai quali si devono le prime legittimazioni ecclesiastiche della professionalità mercantile (O. Nuccio, Chiesa e denaro dal XVI al XVIII secolo, in Chiesa e denaro, p. 13). Contro questa idea, che sostiene che il pensiero economico cristiano sarebbe la premessa della scienza economica moderna e dello stesso spirito capitalistico, Nuccio accumula citazioni di autori e trattati che escludevano la conciliabilità tra denaro e salvezza e condannavano non solo l'usura, ma lo stesso concetto di interesse. Resta però il fatto che, se trattati e canoni sono pieni di queste condanne del profitto e dell'interesse, la dottrina, pur rimasta invariata per secoli, non corrispondeva però affatto alle pratiche reali e al vero rapporto tra il sacro e il potere, tra Chiesa e mercato.

Il processo di costruzione dell'assolutismo papale, sul piano del potere temporale come di quello spirituale, passò anche attraverso il controllo da parte di Roma del funzionamento del mercato del credito, dei capitali e dei titoli di debito pubblico, cioè del settore dei servizi finanziari, ad esempio, attraverso i Monti di pietà e i banchi pubblici, la cui funzione non era solo a carattere solidaristico e assistenziale come spesso si ripete, ma rispondevano a una logica di profitto. Alla fine del Cinquecento, il tesoro sacro conservato in Castel S. Angelo - denominato appunto tesoro di San Pietro - contava milioni di scudi. Il rapporto tra Chiesa e banchieri a partire dal Cinquecento (ad esempio, i Fugger o i banchieri fiorentini, come quei Medici che portarono al papato alcuni membri della famiglia) è stato studiato e ad esso va aggiunto anche l'ambiguo e ipocrita rapporto con i banchieri ebrei: ambiguo perché, se da un lato gli ebrei erano perseguitati, accusati di usura e chiusi nei ghetti, dall'altro lato, però, i pontefici non avevano problemi ad approfittare dei loro servigi, teoricamente proibiti e condannati, e a concedere loro di esercitare il prestito ad interesse formalmente non permesso.
È difficile perciò non tener conto nella nostra discussione di oggi del fatto storico e di grande impatto, sul piano non solo simbolico ma ideologico e politico, che Roma, nei secoli dell'età moderna, anche e forse più di oggi, svolgeva un ruolo di piazza finanziaria internazionale, crocevia europeo del movimento del denaro, dei titoli di debito pubblico, dell'oro, della vendita di lucrosi uffici in Curia che permettevano di fare carriera. Perché questa corsa a portare oro e investimenti a Roma, città non produttiva né commerciale? Evidentemente per altri tipi di redditività, puramente finanziari, costituiti soprattutto dall'acquisizione di titoli del debito pubblico, assai convenienti per l'alto tasso di interessi. La finanza pontificia già da molti secoli ha anticipato un fenomeno assai attuale: la raccolta di denaro dai risparmiatori privati distribuendo in cambio interessi sul capitale incamerato, che giungevano al 10%. Fenomeno, questo, che naturalmente portò alla crescita massiccia e costante dell'indebitamento pubblico. A Roma i risparmiatori italiani ed europei portavano i propri capitali con la certezza di realizzare un buon investimento; la città divenne così sede di una nutrita attività di istituti bancari (ricordiamo tutti l'antico Banco di Santo Spirito), gestiti da banchieri prevalentemente delle città del nord Italia. È chiaro che questa evoluzione finanziaria della Chiesa - chiamata dagli storici "modernizzazione" - imponeva con maggiore difficoltà sul piano teorico, ma con estrema disinvoltura sul piano pratico, il superamento definitivo del divieto dell'imposizione di un interesse sul capitale prestato. Come si giustifica questa evoluzione nei comportamenti della Chiesa circa la finanza? Si ritorna qui alla contraddizione di cui dicevo prima tra dottrina e pratica, per cui non è possibile sovrapporre l'analisi delle teorie morali, teologiche e giuridiche contrarie all'interesse all'osservazione del reale funzionamento delle cose.

E questo funzionamento, come ho già detto, era assolutamente adeguato al rafforzamento dell'assolutismo e del potere papale, sia sul piano temporale che su quello spirituale, due piani peraltro reciprocamente funzionali e collegati strettamente tra di loro in un'unica valenza ideologica e religiosa. Le risorse monetarie e finanziarie della Chiesa erano gestite e utilizzate da una struttura culminante nel papa, che le usava in diverse direzioni: dall'affermazione del suo ruolo politico, diplomatico e anche militare in Europa, alla volontà di fare di Roma la capitale magnificente e grandiosa della cattolicità e del papato, con i fasti, lo splendore delle cerimonie e delle feste e della vita di Corte, e infine al ricorso al sistema del nepotismo per cui la famiglia e l'entourage del papa regnante si arricchivano grazie alla loro posizione di privilegio, talvolta in maniera scandalosa (Urbano VIII). Avviene così che nello studio dell'età moderna in Europa e del ruolo del papato in quella che è stata definita "la repubblica internazionale del denaro" si è affacciata recentemente la tendenza a studiare la Chiesa come una potenza economica che dominava l'Europa, una corporation superiore a molte delle grandi multinazionali che dominano oggi il mercato. La Riforma può allora essere vista come una sfida lanciata da un nuovo concorrente e la Controriforma come una reazione della "ditta" dominante all'entrata sul mercato del nuovo concorrente (P. Prodi, Cristianesimo e potere, Il Mulino, 2012, p. 11). Le origini del capitalismo, produttivo o finanziario, insomma, non andrebbero cercate, alla Max Weber, solo nel mondo protestante, ma anche a casa nostra.

Questa corsa all'oro e le sue conseguenze sul piano del rafforzamento poderoso del potere pontificio era ciò che avevano percepito i riformatori protestanti, nel Cinquecento, a partire da Lutero, che denunciava la mescolanza di economico e religioso, condannava la rapacità del papato, per la cui amministrazione «ogni forma di usura diviene onesta, ogni bene acquisito con il furto o con la rapina diventa legittimo». Le stampe di propaganda mettevano il denaro al cuore del sistema della Chiesa di Roma, attraverso il traffico di indulgenze e benefici. L'identificazione della Chiesa romana con la prostituta dell'Apocalisse e del papa con l'Anticristo esprimeva la convinzione che l'istituzione ecclesiastica avesse sovvertito il messaggio di Cristo, si fosse allontanata dalla sua missione spirituale e fosse caduta nell'idolatria. La ricchezza del clero sembrava ai riformatori l'indice più sicuro del tradimento della parola di Dio, del Vangelo, attraverso quello che chiamavano "il mercato della salvezza". Insomma, la Chiesa romana aveva deformato la dottrina a profitto dei suoi interessi temporali, e noi aggiungiamo oggi anche di quelli spirituali.

Le denunce dei protestanti testimoniano sia l'esistenza di correnti che si appellavano a un rinnovamento dell'ideale di povertà, sia la presenza di un anticlericalismo fondato sugli "abusi" dell'istituzione, destinato a durare per tutto il Settecento almeno. Ma quel che va notato è che queste critiche si ritrovano anche all'interno del cattolicesimo, erano condivise da persone che non lasciarono affatto la Chiesa romana, e di cui Erasmo non è il solo esempio. Sono critiche che saranno riprese ad esempio dalle correnti gianseniste e democratiche del Settecento o dal cattolicesimo liberale dell'Ottocento. L'età moderna, dunque, anche a prescindere dalla Riforma protestante, inizia ponendo la questione del rapporto Chiesa e denaro e la necessità di riconsiderare le sue idee e le sue pratiche in questo ambito. Appello che non fu ascoltato.

Per tutta l'età moderna i beni della Chiesa continuarono ad avere una triplice giustificazione, almeno sul piano teorico: le esigenze del culto, il mantenimento del clero, il servizio ai poveri. Bisogna allora chiedersi quali siano stati gli effetti delle critiche interne, di quei movimenti di riforma della Chiesa che attraversarono il cattolicesimo anche prima del Cinquecento e che si tradussero in un rinnovamento delle esigenze spirituali e pastorali. L'appello a un nuovo e diverso rapporto tra Chiesa e denaro non fu – come si è detto – un monopolio della sola Riforma protestante e anzi era cominciato molto prima della Riforma. Alcuni ordini religiosi rivendicavano una osservanza stretta innanzi tutto quanto alla questione della povertà, spesso provocando rotture all'interno degli ordini stessi: ad esempio, tra i francescani, con i cappuccini che scelsero di vivere solo di elemosina e di non maneggiare denaro (I Francescani e l'uso del denaro. Atti dell'VIII Convegno storico di Greccio; 7-8 maggio 2010). Un simbolo evidente di questa esigenza radicale di riforma e di distacco dai beni per un ritorno a una spiritualità assoluta si trova nella nudità dei piedi dei religiosi riformati "scalzi" (agostiniani, carmelitani). Non è un segnale da poco. Attraverso la modificazione delle apparenze esteriori che devono significare la povertà, i religiosi riformati vogliono manifestare il loro ritorno alle origini, all'ideale primitivo, all'appello evangelico alla povertà. E tuttavia anche questo slancio è destinato a durare poco. Proprio a partire dalla risistemazione cattolica uscita dal Concilio di Trento, l'immagine del prete che viene imposta contribuisce alla giustificazione della ricchezza della Chiesa. Nella società della Controriforma che accorda un grande spazio all'apparire, tutta l'istituzione ecclesiastica deve, attraverso il fasto esteriore, imporre rispetto, ricevere uno statuto giuridico speciale e rivendicare una dignità a parte dei suoi membri, una distinzione sociale rispetto ai fedeli – simbolizzata dall'uso della sottana – che separa il prete dal suo ambiente. Nel frattempo, tra Sei e Settecento, anche i cappuccini cambiarono la loro pratica del rapporto con il denaro attraverso la messa in discussione della concezione tradizionale della questua e la caduta in discredito della pratica della mendicità, ora ritenuta indegna del loro status.

Il discorso sulla ricchezza degli uomini di Chiesa è ben esemplificato dal trattato di François de Sales, Introduzione alla vita devota, del 1609, in cui non si proscrive affatto il possesso e l'uso del denaro e delle ricchezze, ma se ne dispone solo il buon uso, diretto almeno in parte al servizio dei poveri. Nessuna diabolizzazione del denaro se esso è parzialmente utilizzato per la carità. Ma a chi deve essere rivolta la carità? Il povero meritevole deve essere quello "vero", "buono", cioè remissivo, obbediente e accettante la propria sorte: solo la diversità delle condizioni sociali, e non certo l'eguaglianza, permette una circolazione del denaro che costituisce la condizione della salvezza del ricco come del povero (Geremek).

La Chiesa era proprietaria di una fortuna immensa che ovviamente faceva gola al potere politico e agli Stati, e gli interrogativi sulla giustificazione di tale ricchezza e sulla sua utilità si moltiplicavano, specie nel corso del Settecento. Ma la Chiesa era incapace da sola di rimettere in discussione l'origine e l'utilizzo delle sue enormi ricchezze. Il vero mutamento dei rapporti tra Chiesa, denaro e potere non poterono procedere che attraverso interventi esterni di ordine politico, di rotture traumatiche e militari, che avrebbero fatto ricorso a precise giustificazioni ideologiche. È quanto accadde ai tempi delle prime confische dei beni ecclesiastici, a fine Settecento, con la prima Repubblica romana, successivamente con Napoleone, e nell'Ottocento con la seconda Repubblica Romana e poi con l'Unità.

La visione della Chiesa dei tempi primordiali, delle origini, era largamente mitica, ma sarà proprio questa visione profetica e un po' millenarista che nel corso del tempo alimenterà – ad esempio, durante la Rivoluzione francese ma anche dopo – l'ideale della Chiesa detemporalizzata e soltanto spirituale che del resto si sarebbe realizzata nelle due brevi esperienze delle Repubbliche romane del 1798 e del 1849, con la caduta del potere temporale, e definitivamente dopo il 1870. È il mito della Chiesa primitiva, povera e senza potere, quello che permette di introdurre, legittimandola di un'autorità incontestabile, la rottura netta con la tradizione prevalente.

In un libro recente, Cristianesimo e potere, lo storico Paolo Prodi, cattolico, scrive che «un prezzo altissimo è stato pagato dalla Chiesa nei secoli di età moderna per il processo di imitazione dello Stato da parte della Chiesa: la persona del principe è entrata in simbiosi con quella del capo della Chiesa dando un'impronta sempre più segnata da un parallelismo tra le due uniche societates perfectae, sovrane, esistenti sulla terra, particolarmente nell'esaltazione della centralizzazione e della giuridicizzazione, ben oltre il termine cronologico della fine dello Stato pontificio» (p. 10). E aggiunge che, nonostante il Vaticano II, non si sono modificati il centralismo e la concentrazione dell'esercizio del primato nell'unica figura giuridica del pontefice romano come "vescovo della Chiesa universale", figura che ha caratterizzato nei secoli dell'età moderna l'esercizio del primato. Anzi, le discussioni aperte dal Concilio sul tema della ricchezza e della povertà, sul rapporto tra la Chiesa come popolo di Dio e la Chiesa gerarchica (cfr. il cosiddetto "patto delle catacombe") hanno aperto una contrapposizione tra due concezioni diverse del potere nella Chiesa e del papato. Che rapporto ha il gesto di papa Ratzinger con tutto questo? Può esso preludere a una riforma?

Alcuni commentatori, come il teologo Vito Mancuso, hanno prospettato in questa scelta, da lui definita "laica" (perché opera una distinzione tra la persona del papa e la sua funzione, il ruolo, tra essere papa e fare il papa), la possibilità di giungere a una riforma della concezione monarchica e sacrale del papato che dal Medioevo in poi è andata non solo affermandosi, ma rafforzandosi. E qui bisogna aggiungere che una svolta decisiva nel rafforzamento di tale concezione si verifica nel Settecento, quando si aprì una discussione vivace sul termine e il titolo di Vicario di Cristo (non più dunque solo Vicarius Petri) da applicare al solo pontefice, con la vittoria di quest'ultimo sui vescovi. Mancuso giunge a scrivere che le dimissioni di Benedetto XVI possono «rimettere al centro della Chiesa la spiritualità del Nuovo Testamento passando da una concezione che assegna al papato un potere assoluto e solitario, a una concezione più aperta e capace di far vivere nella quotidianità il metodo conciliare» (La Repubblica, 12 febbraio 2013, p. 10). Si assisterebbe cioè alla «fine di una modalità di intendere il papato e alla nascita di qualcosa di nuovo». Sarà la fine della Chiesa costantiniana? Non ne sarei così sicura, ma aspettiamo e vedremo.


Dal potere temporale al potere "Concordato":

e la Chiesa dei poveri?

Sergio Tanzarella

Siamo nel pieno dei festeggiamenti commemorativi dei 1700 anni del cosiddetto Editto di Milano, ed è senza sorpresa per me verificare come si stia realizzando un clima celebrativo che ricorda molto la ricorrenza pomposamente festeggiata 100 anni fa a Roma, nel 1913.

Da molti anni, raccolgo tra i miei studenti alcune permanenze delle loro conoscenze. E una di queste, diffusa fra tutti, è quella di ritenere di conoscere degli aspetti, che in quanto storico definisco leggendari, come per esempio dei sogni e delle visioni per vincere una guerra. Questo è un dato straordinario perché degli studenti provenienti da varie parti del mondo pur ignorando tante cose conoscono però i sogni di Costantino e la vittoria della battaglia.

Si tratta di conoscenze diffuse e inattaccabili che in qualche modo costituiscono una certezza inconfutabile, insieme a quella dell'Editto.

Questa situazione è anche riaffermata ultimamente da una rivista seria come Jesus che sul numero di dicembre in copertina titola "Costantino e l'Editto di Milano. Libertà religiosa per tutti". O ancora, sempre in dicembre, dall'intervento del card. Scola per la festa di Sant'Ambrogio: «"L'Editto di Milano del 313 ha un significato epocale perché segna l'initium libertatis dell'uomo moderno". Quest'affermazione di un illustre cultore del diritto romano, il compianto Gabrio Lombardi, permette di evidenziare come i provvedimenti, a firma dei due Augusti Costantino e Licinio, determinarono non solo la fine progressiva delle persecuzioni contro i cristiani ma, soprattutto, l'atto di nascita della libertà religiosa. In un certo senso, con l'Editto di Milano emergono per la prima volta nella storia le due dimensioni che oggi chiamiamo "libertà religiosa" e "laicità dello Stato"». Non è qui il mio compito dimostrare quanto siano inconsistenti dal punto di vista storico queste affermazioni, ma questo è il clima nel quale si celebra l'anniversario dei 1700 anni. Richiamiamo qualche elemento. Partiamo dalla visione di Costantino. La manualistica non chiarisce, ma noi abbiamo tre versioni di questo sogno-visione, che sono un po' alla base dello sviluppo leggendario dell'Editto. Una di Lattanzio e due di Eusebio di Cesarea. Le fonti sono interessanti anche per le loro date. Per la battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre del 312, le fonti sono La storia ecclesiastica del 315, La morte dei persecutori di Lattanzio del 318, La vita di Costantino del 337. Ed è un crescendo di affermazioni e immagini. Una prima considerazione che lo storico deve fare è che è ben strano che la storia di un sogno che porta ad una vittoria tanto importante venga diffusa anni dopo. È un elemento discriminante già di per sé: si tratta evidentemente di rielaborazioni. Ma l'aspetto interessante è che di questi sogni legati alle vittorie, ce ne sono tanti nella tradizione antica e ce n'è più d'uno nella vita stessa di Costantino. Due anni prima di Ponte Milvio, in una battaglia in Gallia, Costantino ha una visione di Apollo accompagnato dalla Vittoria che gli offre corone d'alloro, ognuna delle quali portava l'augurio di 30 anni di regno. E in qualche modo si può intuire come il fatto del 310 si traduca in una cristianizzazione nel 312.

E non è soltanto Costantino che sogna, e che grazie ai sogni vince le battaglie, ma anche Licinio il 30 aprile del 313 ha un sogno. Ad Adrianapoli, mentre sta combattendo contro Massimino «l'angelo del signore gli apparve in sogno e lo avvertì di alzarsi subito e di pregare il sommo Dio con tutto l'esercito. Se così avesse fatto la vittoria sarebbe stata sua. Dopo queste parole gli sembrò di levarsi, nello stesso tempo l'angelo che lo aveva ammonito e gli stava a fianco gli insegnava in che modo e con quali parole dovesse pregare. Svegliatosi dettò al segretario, come le aveva udite, le seguenti parole: "Oh sommo santo Dio, noi ti preghiamo. Dio santo, ti preghiamo, a te raccomandiamo ogni giustizia, a te raccomandiamo la nostra salvezza e il nostro impero. Per te noi viviamo, per te siamo vincitori e felici. Oh sommo santo Dio, esaudisci le nostre preghiere, noi tendiamo a te le nostre braccia, ascoltaci oh santo sommo Dio"».

A questo punto si scrivono molte copie di questo testo e le si distribuiscono ai soldati, questi le recitano e i liciani depongono gli scudi, si tolgono gli elmi, tendono al cielo le mani e seguendo l'esempio dei loro comandanti recitano la preghiera per il loro imperatore e vincono la battaglia.

Non è un caso allora che siamo davanti a una conversione, a una trasformazione del rapporto Impero-Chiesa. Ma essa dove si realizza? Sul teatro di una battaglia. Ma non è singolare che il Dio della pace e del Vangelo si trasformi - grazie a questi sogni - nel Dio della guerra che permette la vittoria? Può avere avuto tutto ciò conseguenze e permanenze in ciò che sarà la storia cristiana che arriva a noi? Che significano oggi le messe da campo e le benedizioni della armi e le preghiere per la vittoria?

Consideriamo ora l'Editto di Milano, che non è comunque il primo editto a favore dei cristiani. Nel 311 Galerio, malato e quasi morente, chiede ai cristiani di pregare per lui e sospende la possibilità di persecuzione nei loro confronti. Dunque se vogliamo rimanere sul piano della storia il primo editto è quello dell'imperatore ammalato.

In secondo luogo non c'è mai stato un Editto di Milano. A Milano si sono incontrati Licinio e Costantino, ma non hanno fatto nessun Editto. Il cosiddetto Editto di Milano è in realtà quello emanato da Licinio a Nicomedia sulla base di ciò che presumibilmente avevano stabilito a Milano.

E noi quell'editto non lo possediamo neppure nella sua forma originale. Possediamo delle lettere che si rifanno al testo dell'Editto di Milano. Veniamo al suo contenuto così trasmesso: libertà di coscienza nel prestare culto; abrogazione delle disposizioni contro i cristiani; la religione pagana non è più una religione che ha privilegi, stabilita come religione obbligatoria; restituzione dei beni della Chiesa, che nel corso delle altre persecuzioni erano stati sottoposti a sequestri in particolare da Valeriano e Diocleziano, acquisiti dall'Impero e venduti (e sorgerà subito il problema di coloro che li avevano comprati e anni dopo sono invitati a restituirli).

Tutto questo a noi interessa relativamente perché ciò che è importante non è tanto l'Editto quanto invece l'interesse vivissimo che Costantino mostra nei confronti del cristianesimo.

E per quale motivo questo interesse? Mettiamo da parte un aspetto che storicamente è poco avvicinabile che è quello della conversione, per quello che poi poteva significare in quell'epoca.

Ciò che interessa è ricordare che i cristiani erano circa un decimo della popolazione dell'Impero. E qui cominciamo a capire quanto aveva potuto intuire un fine e astuto politico come Costantino. Era necessario - in un sistema di alleanze con vari gruppi sociali - avere una alleanza con i cristiani. Avere dalla propria parte già un decimo della popolazione era funzionale al mantenimento del potere. Tant'è vero che Costantino cerca alleanze anche con altri gruppi. E questo appare ancora più chiaro nella legislazione che producono Licinio e Costantino e poi Costantino da solo nel corso dei decenni successivi. Noi in realtà non possediamo molto perché tanti testi sono andati perduti, ma quel che possediamo è già illuminante: abbiamo decine e decine di disposizioni a favore dei cristiani che si ripropongono qui e là nell'Impero.

Una benevolenza che sconfina in un interesse diretto insieme all'idea della necessità dell'unità della Chiesa. Si può comprendere perché era importante per Costantino l'unità della Chiesa: non per un problema teologico ma di alleanza. Poteva Costantino rinunciare a un alleato così forte che invece sulla questione ariana rischiava di dividersi?

Ma ciò che viene dimenticato comunemente è ciò che avviene dopo, nel 380. Perché è qui la vera svolta: con l'Editto di Tessalonica quando il cristianesimo diventa religione obbligatoria. Riassumo: tutti i popoli devono seguire la religione cristiana; si fa una professione di fede trinitaria; si condannano gli eretici, e si prevedono per essi punizioni. Allora il vero elemento di svolta nella politica imperiale non è il 313 ma il 380. Ed è quella data che avrà ricadute nei secoli successivi. E sappiamo quali conseguenze avrà: si pensi solo a Ipazia e a tutte le forme di intolleranza cristiana che si affermeranno dolorosamente nella storia. Nella lunga durata l'editto di Tessalonica avrà rilevanza notevole.

Vi sono poi una quantità di dati giuridici, atti formali, leggi, prassi ma soprattutto elementi culturali di una mentalità che manifesta i segni di una progressiva trasformazione. L'affermarsi di un orizzonte in cui la fede cristiana appare come realtà in grado di inculturare l'esistente, di diventare - è questo il punto - totalizzante, tanto da non ammettere concorrenze.

Si tratta di una condizione che attraversa in modo sincronico tutta la società, sebbene con modalità differenti. Si pensi al processo della cristianizzazione delle feste religiose dell'Impero. Tutto questo avviene riaffermando il forte legame tra potere politico e religioso con una sorta di identificazione che in questo tempo trova nella figura di Costantino chi dà l'avvio al processo, anche se poi è con Teodosio che si ha lo sviluppo decisivo. E tuttavia occorre prescindere dalla questione della conversione di Costantino: in realtà il problema è l'uso che del cristianesimo, come alleanza privilegiata, fu fatto per la conquista e il mantenimento del potere. E soprattutto un potere che resta concepito sempre come assoluto e divino.

E veniamo così a ciò che accade dopo. Vorrei richiamare qui ciò che scrive nel suo diario l'11 ottobre del 1962 il teologo domenicano Yves Congar, appena arrivato al Concilio che sta per iniziare. Viene da una esperienza dolorosa di marginalizzazione e di persecuzione, ma intanto lui e altri teologi oscurati negli anni '50 si ritroveranno protagonisti, consulenti e periti del Concilio, non semplici ospiti. «Avverto tutto il peso del tempo in cui la Chiesa, aveva stretti legami col feudalesimo, deteneva il potere temporale, e papi e vescovi erano signori che tenevano corte, proteggevano gli artisti, pretendevano uno sfarzo simile a quello dei Cesari. Tutto questo la Chiesa di Roma non l'ha ripudiato. Non c'è mai stata, nel suo programma, l'uscita dall'era costantiniana. Lo sventurato Pio IX, che del procedere della storia non aveva compreso nulla, ha sprofondato il cattolicesimo francese in uno sterile atteggiamento di opposizione, di conservatorio, di spirito di restaurazione… Era stato chiamato da Dio a comprendere la lezione degli avvenimenti, di quei Maestri che Egli dona di sua mano agli uomini, e a far uscire la Chiesa dalla miseranda logica della "Donazione di Costantino" convertendola a uno spirito evangelico che le avrebbe permesso di essere meno del mondo e più per il mondo. Ma Pio IX fece il contrario. Sventurato che non sapeva cosa fosse né l'Ecclesia né la Tradizione, e che ha spinto la Chiesa a essere sempre del mondo e non ancora per il mondo, che pure aveva bisogno di lei. E Pio IX regna ancora. Anche Bonifacio VIII regna ancora, e lo si è sovrapposto a Simon Pietro, l'umile pescatore di uomini!».

Ecco questa era la sensazione di Congar all'apertura del Vaticano II. Una percezione che riafferma alcuni giorni dopo, il 14 ottobre, quando definisce la Chiesa come «un apparato pesante e costoso, grandioso e infatuato di se stesso, prigioniero del proprio mito della grandezza temporale; tutto questo, che rappresenta la parte non cristiana della Chiesa romana e che condiziona, anzi impedisce, l'apertura a un compito pienamente evangelico e profetico, tutto questo viene dalla menzogna della Donazione di Costantino. In questi giorni lo posso vedere in modo evidente. Nulla avverrà di decisivo finché la Chiesa romana non avrà completamente abbandonato le sue pretese feudali e temporali».

La percezione era quella della permanenza e al tempo stesso dell'esaurimento di un modello costantiniano e questo era stato un aspetto già affrontato negli anni immediatamente precedenti al Concilio da parte - per esempio - del prof. Heer dell'università di Vienna. Egli aveva denunciato quanto l'azione di Costantino avesse influenzato per molti secoli l'Europa attraverso la politicizzazione della teologia e la sacralizzazione della politica. Analoga denuncia era venuta da uomini di Chiesa come mons. Jager, arcivescovo di Paderbon, per il quale lo "stato cristiano" era ormai al tramonto e la Chiesa doveva riorganizzarsi per un impegno pastorale svincolato e privo di appoggi e legami con il potere politico.

Queste osservazioni avevano stimolato, poco prima del Concilio, un altro grande domenicano, Dominique Chenu, anch'egli destinato a diventare punto di riferimento per i padri del Concilio. Egli era convinto che il costantinismo andava ridotto alla sua vera dimensione ideologica e che doveva tramontare nella prospettiva dei fatti nuovi attesi dal Concilio e che veri problemi sollevati in quel tempo, e ai quali Chenu offrì una prima riflessione sistematica, erano innanzitutto le conseguenze e le permanenze del costantinismo. Scriveva: «Sotto l'influenza degli atti di Costantino, si è sviluppato e poi si è fissato per secoli, un complesso mentale e istituzionale nelle strutture, nei comportamenti e perfino nella spiritualità della Chiesa, e questo non solo di fatto, ma come ideale. Siamo così trascinati attraverso parecchi secoli, durante i quali questo mito continua, ben oltre il periodo costantiniano e oltre l'Impero romano».

Si vede dunque che il problema non è circoscritto a Costantino ma al costantinismo, alle permanenze del costantinismo.

Aspetti che il Concilio ha sì affrontato, ma che non possiamo dire siano stati del tutto superati. Questo è il modello del costantinismo, che si era espresso non solo in modo esplicito, ma che si è affermato nella storia della cristianità percorrendo sotto traccia la storia della Chiesa, il ruolo che essa si riconosceva nel mondo e la storia delle relazioni tra la Chiesa e il potere politico. Un modello, quello costantiniano e teodosiano, che ha esercitato un'influenza sulla Chiesa facendola diventare un vero e proprio regno tra gli altri regni, in grado di consacrare i poteri politici, di riconoscerne l'autorità politica come proveniente da Dio, di giustificare il potere temporale dei papi, complice anche l'invenzione della "donazione di Costantino".

«Vi è potenza - proseguiva Chenu -, credito, magnificenza in questo Vaticano del Rinascimento, in questo vicereame di Cristo che distribuisce da grande proprietario i continenti da poco scoperti […]. Di fronte a questa cristianità statizzata vi sono gli "Stati cristiani". La fede fa parte della fedeltà nazionale e la Chiesa è un organismo ufficiale al punto che i suoi membri costituiscono, nell'epoca che arriva fino alla Rivoluzione francese, un 'ordine' nella città; le sue leggi hanno forza di diritto pubblico. In compenso il potere politico decide sulla distribuzione delle cariche e sul controllo delle persone; ha dei diritti di patronato. La degradazione moderna di una simile prassi non ha eliminato un'impronta abbastanza miserabile, che non è più quella della fede sul mondo politico, ma quella di un apparato clericale posto sul medesimo piano della burocrazia dello Stato».

Queste parole di Chenu sono un programma straordinario di lettura e di grande capacità di penetrazione storica.

Mai forse come in questo caso un fatto storico come la cosiddetta pace costantiniana ha esercitato influenze tanto forti nella lunga durata. È diventato un patrimonio costitutivo apparentemente insostituibile di parte considerevole della stessa teologia cattolica. Fino a trovare spazio in trattazioni sistematiche. Infatti ciò che è importante non è ritrovare il nome di Costantino in quei libri, perché è il costantinismo stesso che è penetrato secondo un modello di cristianità che poggia sui privilegi concessi dal potere politico.

Sul piano della permanenza del modello costantiniano nelle relazioni con il potere politico le prove sono numerose. In particolare cito una che è ignorata anche dalla manualistica. Ed è il Concordato di Terracina, sottoscritto il 16 febbraio del 1818 dal cardinale Ercole Consalvi, a nome di Pio VII, e da Luigi de' Medici per conto di Ferdinando I di Borbone re del Regno delle due Sicilie. Il I e il II articolo non lasciano dubbi. Articolo I: «La Religione Cattolica Apostolica Romana è la sola Religione del regno delle Due Sicilie e vi sarà sempre conservata con tutti i diritti e prerogative che le competono, secondo l'ordinazione di Dio e le sanzioni canoniche». Articolo II: «In conformità dell'articolo precedente l'insegnamento nelle regie Università, Collegi e Scuole, sì pubbliche che private, dovrà in tutto essere conforme alle dottrine della medesima Religione Cattolica».

Seguono poi un elenco di garanzie, privilegi e benefici – economici e giuridici – a favore della Chiesa e degli ecclesiastici fino a concedere ai vescovi un potere di censura su tutti i libri stampati o introdotti nel Regno poiché se essi «troveranno qualche cosa contraria alla dottrina della Chiesa, ed a' buoni costumi, il Governo non ne permetterà la divulgazione». A fronte di questi riconoscimenti il papa che cosa deve concedere?

I vescovi che ruolo devono svolgere in questo Regno? Quello di poliziotti perché devono sorvegliare non solo il clero ma tutti i focolai rivoluzionari. È chiaro però che in cambio sarà concesso al re di scegliere i vescovi. Ma nonostante l'occhio vigile del re e della sua polizia borbonica più di un vescovo sfugge al controllo. E ci saranno vescovi che diventeranno anche figure rivoluzionarie.

Articolo XXVIII: «In considerazione della utilità che dal presente Concordato ridonda nella religione e nella Chiesa e per dare un attestato di particolare affezione alla persona di Sua Maestà il re Ferdinando, Sua Santità accorda in perpetuo a Lui, ed a' suoi discendenti cattolici Successori al trono, l'indulto di nominare degli ed idonei ecclesiastici forniti delle qualità richieste da' sacri canoni». Sintetizzo: il re avanza la proposta di nomina e il papa ratifica.

E le norme concordatarie ancora in vigore nel '900, in numerose nazioni, mostravano come, a causa di varie concessioni da parte degli Stati, la Chiesa avesse rinunciato a una parte della sua autonomia.

Non posso soffermarmi, ma nel Concordato con la Polonia del 1925 si prevedeva il giuramento di fedeltà alla Repubblica da parte dei vescovi. Il Concordato spagnolo del 1953 in materia di nomina dei vescovi si riferiva alle norme dell'accordo stipulato dalla Santa Sede con lo Stato spagnolo il 7 giugno del 1941 che prevedeva la scelta del prelato da parte del capo dello Stato tra i tre candidati presentati dalla Santa Sede.

La sottolineatura dell'origine divina del potere e degli obblighi delle autorità civili degli Stati cristiani rimane in sostanza nel Magistero papale della prima metà del Novecento. Ritroviamo questo in un'enciclica in particolare di Pio XI Ad salutem nell'anno 1930, quando sono passati 1500 anni dalla morte di Agostino d'Ippona. E nella corposa esposizione delle opere di Agostino il pontefice arrivando alla Città di Dio, cita le lodi a Costantino (che «non invocava i demoni, ma adorava lo stesso vero Dio») e a Teodosio, e più avanti scrive: «Quindi i principi e i governanti, avendo ricevuto la potestà da Dio». Questo è un punto fondamentale. Chi legge Gregorio XVI e l'enciclica Mirari vos troverà lo stesso principio: il potere deriva da Dio, per proprietà transitiva, chi si oppone al potere si oppone a Dio.

A partire dagli anni della restaurazione si riaffermò, quindi, da parte dei papi una stretta alleanza con i monarchi, non solo cattolici. Anche se non si faceva riferimento diretto a Costantino è chiaro che il ruolo assegnato alle monarchie era la difesa della società cristiana, del regime di cristianità contro seduzioni liberali.

Questo ritorna anche nel capitolo VI del famoso Sillabo degli errori moderni (1864) intitolato "Errori circa la società civile, considerata sia in se stessa sia nelle sue relazioni" che enumera tra le opinioni sbagliate soprattutto quelle che infrangevano la libertà della Chiesa mettendo lo Stato nella posizione di potere assoluto.

Questo del tema del potere temporale in relazione con l'imperatore Costantino è un elemento che sopravvive per lungo tempo, come dimostra la gran pompa con cui fu celebrato l'anniversario costantiniano del 1913, strettamente legato alla "questione romana". In quella occasione Giuseppe Toniolo lodava l'imperatore Costantino come fondatore dello Stato cristiano, uno Stato compreso come un luogo dove ognuno può cercare il proprio perfezionamento.

È nello stesso clima celebrativo che La Civiltà Cattolica ritorna più volte sul tema di Costantino e sulle conseguenze dei suoi atti, infatti la sua conversione è definita «la metamorfosi sociale più profonda della storia» con la quale «fu iniziato l'impero sociale della religione e della civiltà cristiana, che dura fino ad oggi e durerà fino alla consumazione dei secoli».

La permanenza della figura di Costantino e il giudizio positivo sulla sua opera ritornano più volte anche nel Magistero del passato prossimo e del presente con toni riconoscenti e nostalgici. Come in un discorso di Paolo VI dell'autunno del 1965, in occasione della festa della consacrazione della Basilica di San Pietro che cominciava ricordando la figura di Costantino e i suoi meriti per la costruzione di essa.

O in Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Libano nel 2012, quando egli fece riferimenti a Costantino, non solo come un cristiano, ma come un paladino della libertà religiosa.


I soldi e il Vaticano: finanza, immobili, uso del territorio

a partire dalle vicende dello Ior

Ferruccio Pinotti

La storia dello Ior è una storia di particolare interesse, perché ci consente di leggere il rapporto della Chiesa con il denaro e il potere. Lo Ior nasce nel 1942, in piena II Guerra mondiale, prendendo il posto della Commissione "Ad pias causas". La gestione delle risorse vaticane, delle consistenti finanze generate dal Concordato stipulato nel 1929 da Mussolini con la Santa Sede, vengono affidate - e qui c'è già un primo segnale interessante - ad un massone, l'ing. Bernardino Nogara, proveniente dalla Comit, una banca estremamente laica che ha sempre avuto ai suoi vertici dei massoni. Nogara è un finanziere molto abile, con solide entrature internazionali e fa le fortune della finanza vaticana: diversifica, investe, pone i nipoti di papa Pacelli in posizioni strategiche in varie industrie nazionali e internazionali. Gestisce abilmente, forte anche delle sue relazioni massoniche, le finanze vaticane, tanto che, quando muore, il card. Spellman dirà di lui che la Chiesa ha perso il suo più grande personaggio dopo Gesù Cristo.

Dopo Nogara, la gestione delle finanze vaticane passa a una figura più grigia: il principe romano della nobiltà nera, Massimo Spada, che è una figura che opera in maniera molto più oscura, secondo le linee classiche del rapporto di potere che esiste tra il Vaticano e la nobiltà romana, papalina. Spada si affida, guarda caso, a un altro massone, Michele Sindona, banchiere, finanziere, uomo della mafia, che entra nel cuore delle finanze vaticane e si fa carico di alcuni investimenti complessi, come la Società Generale Immobiliare, le condotte d'acqua e altri capitoli. E avvia anche un processo di diversificazione già iniziato da Nogara sui mercati internazionali, forte dei suoi rapporti con gli Stati Uniti, che lo vedranno successivamente impegnato nella Franklin Bank. Ecco quindi che fa la sua apparizione il personaggio discutibilissimo di Sindona, che purtroppo troverà molte sponde in Vaticano. Non dimentichiamo che ebbe rapporti intensi con Montini, quando questi era cardinale di Milano (basti pensare alla nascita della Clinica Madonnina): rapporto che proseguì anche quando Montini diventò papa.

Alla stella di Sindona si affianca successivamente quella di un altro massone, Roberto Calvi, che nel 1970 incontra Sindona e inizia con lui a operare in tandem per entrare, attraverso il Banco Ambrosiano che intratteneva da tempi ancora più lontani rapporti importanti con il Vaticano, sempre più nel vivo delle finanze vaticane. Le operazioni di Sindona e Calvi sono spericolate: costituiscono subito una banca a Nassau, nelle Bahamas, un paradiso fiscale, quindi la Cisalpina Overseas Nassau Bank, la cosiddetta Ciso, nel cui Consiglio di amministrazione siede un'altra figura di alto spessore morale come mons. Marcinkus.

Questo trio si dedica subito a operazioni spericolate sui cambi, costituendo un grumo di interessi finanziari che si situa tra il Banco Ambrosiano e lo Ior, assolutamente pericoloso. È di quel periodo l'acquisizione della Banca Cattolica del Veneto, alla quale si oppose con forza Albino Luciani, successivamente Giovanni Paolo I, ma anche una serie di operazioni che pian piano coinvolgono l'editoria, come il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, e assicurazioni.

Sono gli anni che vedono l'avvio di quella degenerazione della finanza vaticana che va facendosi sempre più strumento di potere e di vicinanza al mondo politico. Sono anni estremamente oscuri che segnano tra l'altro l'avvicinamento a un altro personaggio che diventerà un cardine dei rapporti di potere della finanza vaticana: Silvio Berlusconi. Non bisogna infatti dimenticare che la famosa Banca Rasini in cui lavorava Luigi Berlusconi, padre di Silvio, altro non era che una strana banchetta (che da Sindona venne tra l'altro indicata come la banca del riciclaggio dei capitali della mafia a Milano) partecipata, oltre che dai Rasini, antica famiglia milanese, dagli Azzaretto, famiglia siciliana con grandi ricchezze di incerta provenienza e rapporti strettissimi coi Cavalieri di Malta (tanto che io e il collega tedesco Udo Gumpel abbiamo reperito la foto di Dario Azzaretto in divisa da cavaliere di Malta).

Anche qui troviamo richiami tra passato e presente: oggi abbiamo un cavaliere di Malta alla guida dello Ior, Ernst von Freyberg, ieri avevamo un importante cavaliere di Malta alla Banca Rasini. Tutto ritorna in un certo quadro di rapporti di potere. Ma nella Banca Rasini c'era anche, a rappresentare parte della proprietà costituita da due misteriose società situate in Liechtenstein, un gentiluomo di Sua Santità che si chiamava e si chiama, perché è ancora vivo, Herbert Batliner, figura fortemente discutibile, essendo stato accusato di riciclaggio dei soldi dei narcos colombiani ed essendo coinvolto nell'operazione di nascondimento del cosiddetto tesoretto della Fiat. Eppure è una figura che ha avuto rapporti intensissimi con Giovanni Paolo II e anche con Ratzinger. Nel 2002, per esempio, donò l'organo della Cappella Sistina. È uno dei più ascoltati consiglieri finanziari del Vaticano, in buona compagnia con figure discutibilissime come Balducci, Gianni Letta e tutta la schiera di consiglieri finanziari del Vaticano che si muovono tra finanza, affari e potere.

In questa piccola banca, la Rasini, troviamo già queste cointeressenze di finanza vaticana che portano anche all'Opus Dei, a un rappresentante di società estere, azionista della Rasini, come Wiederkehr, che è stato uno dei finanzieri chiave dell'Opus Dei attraverso la fondazione Limat in Svizzera, tuttora esistente ed operativa per le finanze dell'Opera fondata da Balaguer.

Il 1982 rappresenta un momento critico, con il crac dell'Ambrosiano e la morte di Calvi sotto il ponte dei Frati Neri a Londra (della quale molto si è detto: scoperta gravissima è quella del pm Luca Tescaroli che Calvi riciclava, attraverso lo Ior, anche denaro della mafia. C'è ormai una montagna di acquisizioni processuali e di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, come Francesco Marino Mannoia, che asseverano, carte alla mano, il fatto che l'Ambrosiano riciclava anche soldi della mafia). Il Vaticano e lo Ior devono riconoscere le loro responsabilità, e ammettere di avere svolto un ruolo importantissimo in questo gigantesco crac (vale la pena ricordare la pressione di un cattolico coraggioso come Beniamino Andreatta, il quale chiede al Vaticano di assumersi le sue responsabilità e di mettere mano al portafoglio sborsando un assegno da 250 miliardi per la liquidazione del Banco ambrosiano). Marcinkus, tuttavia, non viene cacciato. Anzi, per molti anni, viene nascosto in Vaticano, al riparo dai mandati di cattura, finché non si rifugerà, nell'ultima parte della sua vita, a Phoenix, in Arizona. Non dimentichiamo tra l'altro che il figlio di Vito Ciancimino, il sindaco mafioso, ha dichiarato che anche il padre aveva dei conti rilevanti allo Ior.

Dopo il periodo Calvi e Marcinkus, lo Ior passa nelle mani del dott. Caloia, uomo della finanza cattolica vicina a Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa, il quale cercherà di imprimere un cambiamento, una svolta che tuttavia, in buona sostanza, non riesce. È infatti nel periodo della gestione Caloia che transita la tangente Enimont, una delle più grosse tangenti della storia (108 miliardi) di cui si occuperà Luigi Bisignani, che per questo ha patteggiato una pena. E vi sono anche altre operazioni assolutamente discutibili. La gestione Caloia riesce dunque solo in parte a rettificare questo ruolo storico che lo Ior si è ritagliato di piazza off shore e on shore allo stesso tempo e si conclude con risultati piuttosto modesti.

Sotto Giovanni Paolo II, abbiamo visto tutti cosa è diventato lo Ior: lo strumento di transito di capitali di mafia, di soldi elargiti a Solidarność (c'è chi parla di 100 milioni di dollari versati per la causa polacca, senza guardare troppo la loro provenienza; si arriva all'assurdo dei mafiosi che sostenevano con i loro capitali la causa dell'anticomunismo e della distruzione del blocco dell'Est). Nonostante alcuni tentativi di mettere mano alle finanze vaticane da parte di Giovanni Paolo II, successivamente al caso Marcinkus-Calvi, non si realizza insomma alcuna riforma.

Ratzinger si trova in mano questa situazione critica e decide, dopo Caloia, di affidare le finanze vaticane a un uomo dell'Opus Dei: Ettore Gotti Tedeschi, rappresentante del Banco di Santander in Italia. Banca tristemente nota in questi giorni, avendo praticamente gestito l'operazione Monte dei Paschi di Siena, vale a dire l'acquisizione di AntonVeneta, rilevandola e poi rivendendola con una plusvalenza incredibile a Mps, sicuramente dietro il pagamento di tangenti e di fondi neri. La Procura di Roma, inoltre, ha in corso un'inchiesta sull'ipotesi di conti aperti presso lo Ior per celare proventi dell'operazione criminale di questa associazione a delinquere. C'è anche chi dice che, tra le ragioni delle dimissioni del papa, ci sia il fatto che attorno allo scandalo Mps potrebbero uscire notizie inquietanti relative allo Ior e alle finanze vaticane.

Lo Ior viene quindi affidato a Gotti Tedeschi, figura sponsorizzata dall'Opus Dei, messa piuttosto in crisi dalla vicenda dell'Ambrosiano, essendo noto il tentativo di Calvi, nell'ultima fase della sua vita, di avvicinarsi all'Opera (Opus Dei che, secondo alcune voci, attraverso i suoi contatti negli Stati Uniti avrebbe mobilitato parte di quei 250 milioni di dollari utilizzati per la liquidazione del Banco Ambrosiano). L'Opus Dei assume quindi la guida delle finanze vaticane. Ma la gestione risulta carente, perché sotto Gotti Tedeschi vengono avviate nuove inchieste della magistratura, con, tra le altre cose, il sequestro di 23 milioni di euro, si ripetono le accuse di riciclaggio e non si completa quel processo di trasparenza finalizzato all'ammissione dello Ior nella cosiddetta white list dei Paesi che seguono procedure certificate nel trattamento del denaro.

Sulla riforma dello Ior si consuma un grosso scontro di potere tra un'ala della Curia che rifugge da un'eccessiva trasparenza, perché capisce che lo Ior è la sentina di una serie di movimenti di capitali importanti e lucrosi, e chi invece preme per una riforma di questo tipo.

Si arriva così al maggio 2012, quando ha luogo uno scontro tra le fazioni che si contendono il potere in Vaticano, attorno alle finanze e non solo. I Cavalieri di Colombo, potentissima realtà statunitense che controlla anche una compagnia assicurativa e che elargisce ogni anno un assegno direttamente al papa, ma che rappresenta, soprattutto, il mondo finanziario cattolico americano (sotto la guida del cavaliere supremo Carl Anderson), chiedono con forza, e ottengono, le dimissioni di Gotti. Si consuma uno scontro tremendo tra Cavalieri di Colombo, Opus Dei, Comunione e Liberazione (che nel frattempo è alle prese con il grande scandalo del San Raffaele di Milano, da cui poi derivano anche le accuse di questi giorni a Formigoni). In questa situazione si accentua la competizione a destra tra questi gruppi di potere, dotati tra l'altro di finanze proprie, che si contendono ormai apertamente il Vaticano, finché non arriviamo all'oggi, cioè alla nomina di questo potentissimo avvocato d'affari e banchiere, cavaliere di Malta, alla guida dello Ior.

Quale bilancio si può trarre da tutto ciò?

Il fatto è che Ratzinger, a mio parere, ha cercato di porsi nel solco di Giovanni Paolo II, confermando il potere e la forza di tutti questi movimenti, Opus Dei, Comunione e liberazione, Legionari di Cristo (poi commissariati per i noti abusi del loro fondatore), neocatecumenali, focolarini, carismatici. Tutti questi gruppi che a mio parere rappresentano una deriva molto forte e molto pericolosa all'interno della Chiesa. Perché un conto sono realtà consolidate e ricche di una tradizione anche spirituale importante e un conto sono questi gruppi, spesso centrati intorno alla personalità a volte disturbata del loro fondatore, del loro leader, che usano tutti i mezzi per conquistare il potere. Penso per esempio ai rapporti malati che ha avuto Cielle in Lombardia, alle operazioni spregiudicate condotte da Formigoni, alla Compagnia delle Opere sulla quale hanno pesato e pesano diverse inchieste giudiziarie, ai rapporti di potere dell'Opus Dei, ai gravi crimini di cui si sono macchiati i Legionari di Cristo, allo strano mondo dei neocatecumenali.

Questi gruppi, ognuno dei quali tende a dotarsi di referenti politici e bancari, di finanze proprie, di affari, di investimenti, ormai sono diventati a mio parere – e voglio usare un'espressione forte – un cancro all'interno della Chiesa. E purtroppo Giovanni Paolo II, anche per chiare ragioni geopolitiche, per la fase finale della guerra fredda, per la sua estrazione polacca, li ha, forse ingenuamente, sostenuti e legittimati.

Situazione che Ratzinger ha cercato di gestire, per alcuni aspetti di normalizzare, forse anche attraverso la scelta di Bertone, un salesiano che doveva in qualche modo arginare, contenere e gestire questi movimenti e ricondurli alla "normalità". Bertone, però, non ha avuto forza sufficiente, è stato fortemente contrastato in Curia, ma soprattutto, e ancor più di lui, non ha avuto la forza di farlo lo stesso Ratzinger, tanto che alla fine, secondo la vulgata dominante tra gli analisti, queste cordate di potere, non riuscendo a buttare giù Bertone, che comunque gode di notevole resistenza fisica e anche intellettuale, sono riuscite alla fine a far dimettere il papa.

Questi scandali (Vatileaks, Ior) hanno prodotto un sentimento di impotenza nella governance della Chiesa, tant'è che Ratzinger, pur volendo proseguire nel solco di Giovanni Paolo II, non ha saputo gestire la lotta tra queste fazioni, finendo per esempio per nominare arcivescovo di Milano Angelo Scola, che adesso è fra i papabili e che ha avuto rapporti intensissimi con Comunione e Liberazione, essendo nato e cresciuto completamente nel solco di Cielle.

E ora arriva questa forte legittimazione ai Cavalieri di Malta, una realtà discutibile, quasi al limite tra Chiesa e massoneria, tanto che Pio XII voleva cancellarla (Giovanni XXIII non ha voluto farlo per supposti rapporti con questi mondi).

La situazione è dunque molto grave perché attorno al denaro e al potere si è creato un grumo interno al Vaticano che probabilmente dall'esterno è anche difficile percepire. Si parla in questi giorni del rapporto dei tre cardinali al papa - un rapporto che lo avrebbe sconvolto - ma ancora più importanti sono le rivelazioni in merito alle confidenze fatte dal cardinale di Palermo, Romeo, durante il viaggio in Cina (emerse nel febbraio 2012), relativamente a un possibile attentato al papa o a una malattia, o comunque alla sua imminente caduta. Caduta che poi si è verificata, anche se non a causa di una malattia o della sua morte.

E c'è un dettaglio che rivelava il giornalista Nuzzi pochi giorni fa relativamente a una confidenza ricevuta dal sindaco di Milano Pisapia, notissimo penalista ed esperto conoscitore di criminali e vittime, il quale gli ha raccontato che, quando ha incontrato Ratzinger da vicino, ha visto la paura nei suoi occhi. Effettivamente la paura e il disagio sono alla base di questa scelta così difficile. Una scelta sicuramente rispettabile per tanti versi, ma che rivela una sostanziale incapacità nel gestire una Curia spaccata, una Chiesa che potrebbe anche apparire scismatica. E che evidenzia una serie di errori da parte di Ratzinger, come l'apertura ai lefebvriani, che a mio parere non possono essere ignorati se si vuole fare un'analisi seria del suo papato.


Il diritto di riflettere, il dovere di agire.
Dibattito a più voci


Raffaele Bocciero (www.filosofiaelogos.it). Vorrei che Pinotti approfondisse la questione delle interferenze massoniche in Vaticano, anche in riferimento al fatto che, all'epoca, Calvi e la loggia che faceva capo a Licio Gelli si scontrarono in Vaticano con una fazione denominata "Mafia di Faenza", alla quale erano collegati Achille Silvestrini, Pio Laghi e Agostino Casaroli (il quale fra l'altro chiese all'allora generale Santovito di raccogliere informazioni su Marcinkus).

Antonio Guagliumi (cdb San Paolo). Lo studioso cattolico John Paul Meier, nella sua opera Un Ebreo Marginale. Ripensare il Gesù storico, dimostra in modo molto convincente che le parole "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa", da cui dovrebbe derivare l'investitura divina del potere di Pietro e del Vaticano, Gesù non le ha mai dette. Quelle parole sono un prodotto della Chiesa di Matteo, che probabilmente aveva bisogno di una autenticazione della sua provenienza petrina. Questo mi sembra un nodo fondamentale per capire se la Chiesa è irriformabile o se è un prodotto della storia e quindi modificabile.

Nino Lisi (cdb San Paolo). C'è una differenza tra la finanza tout court e la finanza vaticana. Mentre la prima ha come obiettivo preciso l'arricchimento, e, se cerca di mettere le mani sul potere, è per asservirlo ai propri interessi, l'obiettivo della finanza cattolica è il potere stesso e non l'arricchimento.

Marina Caffiero. Quanto alle parole di Gesù riportate da Matteo, nella Storia svolge un ruolo non solo tutto ciò che è vero ma anche tutto ciò che è ritenuto vero. E quelle parole, al di là che siano state o meno pronunciate, hanno avuto, proprio come la leggenda della donazione di Costantino, un influsso enorme.

È giusto quanto afferma Nino Lisi a proposito del rapporto tra finanze e ricchezza da un lato e potere dall'altro. Però bisogna vedere di quale potere si tratta. Tralasciando il fatto che la Chiesa ha sempre fatto operazioni finanziarie, uno degli obiettivi fondamentali del perseguimento della ricchezza è il rafforzamento del potere papale. Questo è il nucleo della questione: qual è la concezione del papato che si è venuta affermando nei secoli e che permane oggi e se c'è la possibilità di rovesciarla. È possibile che ci sia una forza talmente forte in Curia da riuscire ad assorbire tutto. Però questo è il momento adatto per tentare.

Sergio Tanzarella. In tutto ciò, mi torna in mente quanto afferma la Gaudium et spes sulla totale differenza fra l'ordine delle cose e l'ordine delle persone. E su come l'ordine delle persone debba avere sempre la priorità sull'ordine delle cose. Uno degli elementi della questione della cristianità come potenza, del neocostantinismo, si ripropone in questi termini. Nonostante le parole della Gaudium et spes, l'ordine delle cose continua a prendere il sopravvento. Scriveva anni fa Raffaele Nogaro: «Anche la Chiesa si è lasciata prendere dal criterio dell'immediata efficienza mondana». «Ben organizzata per l'autocertificazione, non sempre e sufficientemente povera di Spirito, priva cioè di sé, di valori propri e piena di Spirito Santo. Una forma insana di ecclesiocentrismo fa sì che l'istituzione ecclesiastica viva quasi ossessionata dal suo potere e dal suo prestigio». E questo è un aspetto fondamentale, perché al potere si può trovare una giustificazione, al prestigio no. «Allora ci sono i Concordati, gli accordi politici per l'equa distribuzione dei poteri. Allora c'è nel clero una serie di promozioni, di nomine, di ascese che trasformano la vita ecclesiastica in una competitiva carriera piuttosto che in una testimonianza». E mi sembra che alla fine di una riflessione sul superamento della tentazione del potere, resti soltanto la testimonianza realizzata nel modo più povero e disarmato possibile.

Ferruccio Pinotti. Quanto alle interferenze massoniche, ci sono state e ci sono voci ed evidenze di appartenenze a logge di prelati e cardinali. Nel volume che io e Galeazzi stiamo per dare alle stampe, Vaticano massone, pubblicheremo una lettera del cardinale Oddi – tra l'altro grande sostenitore di Berlusconi (ne favorì la discesa in campo, lo benedisse) – e del gran maestro Virgilio Gaito, i quali si rivolgono a Giovanni Paolo II dicendo che è tempo di una pace tra la massoneria e la Chiesa.

Le evidenze sono purtroppo tantissime, con cordate più o meno vicine alla massoneria. Per esempio, nella cordata che citava Bocciero (cioè Silvestrini e altri) – la cosiddetta ala diplomatica ancora oggi forte e contraria a Bertone – c'è chi identifica un'ala massonica. Lo stesso Santovito che condusse gli approfondimenti di cui si diceva appare nella lista della P2.
Gelli era accreditatissimo in Vaticano (tanto che fu insignito di una onorificenza da Paolo VI), in quanto fortemente legittimato da ambienti statunitensi, dalla Cia, che vedono da sempre nel Vaticano un asset imprescindibile.

Si tratta di rapporti di potere che dovrebbero essere spazzati via. Purtroppo, il papato di Ratzinger non è riuscito in questo difficile compito e si è posto nel solco del papato di Wojtyla. Bisogna sperare in un nuovo san Francesco papa o in una figura di grande respiro che sappia spazzare via queste incrostazioni.

Giovanna Romualdi (www.womenews.net). Vorrei chiedere a Pinotti di chiarire quel passaggio sul rapporto tra Cavalieri di Malta e Giovanni XXIII. E poi un'altra cosa. Fondandosi, oltre che su un potere temporale, anche su un potere patriarcale, questa Chiesa forse potrà cambiare solo aprendo al sacerdozio femminile.

Adelio Pellegrini (pastore evangelico). Teologicamente, credo che il papato sia l'anticristo e mi chiedo cos'altro si debba aspettare per riconoscerlo.

Tarcisio Alessandrini (cdb San Paolo). Penso che, come assemblea, dovremmo fare pressione perché lo Stato del Vaticano venga abolito.

Sergio Benassai. A proposito delle questioni finanziarie, in che misura lo Ior è effettivamente il centro della questione rispetto, ad esempio, al patrimonio immobiliare della Chiesa in senso lato?

Sergio Tanzarella. Per lungo tempo, nelle conoscenze e nel ricordo dei cattolici, si è registrata un'emarginazione del cristianesimo antico. Il Concilio Vaticano II ha rappresentato da questo punto di vista una svolta, producendo come risultato il riavvicinamento alla fonte della Scrittura, ma comportando anche il rischio di mitizzare il cristianesimo delle origini, nel senso di guardare alle prime comunità come a comunità perfette. In realtà, non è esistita una Chiesa dell'età dell'oro cui è seguita una decadenza. Tutte le comunità sono sempre state attraversate da elementi positivi come da tradimenti e contraddizioni. La storia da questo punto di vista restituisce una maggiore serenità.

Mi permetto di fare un'osservazione molto personale sulla questione del papato come anticristo, che posso comprendere ma non accettare. Senza andare troppo lontano, vorrei solo richiamare alcune figure che non possono essere assolutamente comprese come anticristo, come Benedetto XV o papa Giovanni. Ma, soprattutto, la storia non è un tribunale: non deve condannare né assolvere nessuno. E non è nemmeno maestra come ritenevano i latini. Guarda a una realtà di esseri umani, morti, con il rispetto che si deve a coloro che proprio in quanto morti non possono difendersi né dire nulla. E allora bisogna guardare alle fonti, che mostrano, per ogni storia di ogni essere umano, luci e ombre. Contraddizioni, debolezze. Ma soprattutto dovremmo evitare di pensare al papato in termini di principio monarchico assoluto, come dimostrano, ad esempio, le lotte che pure Giovanni XXIII dovette fare con la Curia dopo la sua decisione di indire il Concilio. Si ricordi, ancora, come la Curia e l'Osservatore Romano riuscirono a cambiare, stravogendolo, il duro atto di accusa e di rifiuto di Pio XI contro la guerra coloniale fascista.

Bisogna guardare alle fonti con maggiore equilibrio e con una certa distanza, perché, in una Chiesa che si attrezza a giustificare la guerra, ritornano di continuo figure di oppositori all'ideologia bellica. Mi sembra che la storia permetta di individuare questo filo rosso, che a volte sembra spezzarsi, a volte scomparire, ma che nuovamente riemerge. Chi avrebbe mai pensato, nel 1958, che si potesse realizzare l'avvio di una riforma, di una rivoluzione? Chissà che non ci troviamo anche in questo caso, malgrado le ombre, alla vigilia di una nuova alba. Potremmo anche vedere qualcosa di inatteso, qualcosa, però, che non passerà attraverso la designazione di questo o di quest'altro papa. Questa è un'idea un po' verticistica che, come credenti ma anche come cittadini alla permanente ricerca di leader, portiamo sempre con noi. E abbiamo visto che non ci restituisce futuro.

Ferruccio Pinotti. Giovanni XXIII non è riuscito sostanzialmente a scalfire il sistema delle finanze vaticane. Probabilmente voleva farlo, però non ne ha avuto il tempo o forse non ha avuto la comprensione tecnica dei problemi già allora in nuce. Quanto ai Cavalieri di Malta, Giovanni XXIII - il quale, secondo alcune testimonianze di importanti massoni internazionali, aveva avuto nel corso della sua carriera diplomatica contatti con ambienti massonici e dei rosacroce - non ha dato seguito alla volontà di Pio XII di eliminare gruppi sospettati di vicinanza alla massoneria. E in fondo Montini si mantiene su questa linea, in quanto egli stesso intrattiene rapporti con Sindona e con ambienti atlantici in forte odore di massoneria.
In merito alla domanda sullo Ior e gli immobili, effettivamente una grande parte del potere finanziario è in mano all'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che investe sia in mobili che in immobili (Il Sole24 ore, in un articolo del 15 febbraio, stima in 2mila miliardi gli immobili detenuti dalla Chiesa nel mondo). Insomma il Vaticano è un global player dell'economia e della finanza di assoluta rilevanza. Solo nella Sanità, sono 125mila le strutture sanitarie nel mondo controllate dalla Chiesa, dalle diocesi… In effetti, il Vaticano ha spostato il suo potere temporale sul potere finanziario ed economico, anche come strumento di pressione sulla politica.

Marina Caffiero. La storia non è un tribunale e nemmeno maestra di vita, però non deve nemmeno giustificare. Mi rendo conto che di fronte a una proposta come l'abolizione dello Stato del Vaticano si finisca per sorridere, ma una proposta più percorribile mi pare ci sia, ed è quella dell'abolizione del Concordato. E così anche tutta la tassazione della Chiesa potrebbe essere vista in modo nuovo. Per quanto riguarda il discorso del papa come anticristo – affermazione già sentita da Lutero e ripetuta anche da altri, pure cattolici – si può riflettere su una concezione diversa del papato e del suo ruolo, anche alla luce di questo gesto di Benedetto XVI che desacralizza la figura del papa. Forse un'assemblea di questo tipo, che è un'assemblea di base, non si può limitare solo a dire quello che non va, forse, in un momento come questo, dovrebbe avere anche una capacità propositiva. E allora ci sarebbe una richiesta da fare: la convocazione di un concilio.

Volevo soffermarmi su un punto estremamente interessante e che non a caso è stato tirato in ballo da una donna: la questione di genere e del ruolo delle donne nella Chiesa. Questo è un altro punto che può rendere la situazione assolutamente esplosiva. All'interno del mondo religioso femminile, c'è un movimento di rivendicazione molto forte. Non si tratta tanto della richiesta del sacerdozio femminile, ma dell'esigenza di imporre una nuova presenza: di un ruolo importante delle donne non solo nell'intera società italiana, ma anche all'interno della Chiesa. Non perché, come si è fatto in passato, la femminilizzazione religiosa diventi strumento di rafforzamento delle gerarchie e del papato e strumento di restaurazione, ma perché segua una direzione ben diversa.

La consapevolezza della situazione è importante ma non può bastare. Ora cosa si fa? Dov'è la Chiesa dei poveri.


Gli organizzatori

Gli organizzatori del convegno Finanza e potere nella Chiesa sono gruppi di cattolici di base costituiti in un comitato che non ha il compito di rappresentarli nelle loro diversità, ma solo la funzione di organizzare momenti di confronto per riflettere insieme sulla realtà in cui si trovano a vivere i percorsi che hanno autonomamente intrapreso. In questa prospettiva, hanno organizzato in passato una serie di convegni. Tra questi:


Tra memoria e profezia: le aperture del Concilio e le sfide di oggi (20 giugno 2009), con Maria Bonafede, Paola Gaiotti De Biase, Giovanni Franzoni, Giancarla Codrignani, Luigi Pedrazzi, p. Alberto Bruno Simoni, Raniero La Valle, Francesca Koch.


Un'etica condivisa per una società pluralista (30 gennaio 2010), con Francesca Koch, Stefano Ciccone, Francesco Zanchini, Giovanni Franzoni, Vera Pegna, Adnane Mokrani, Maria Angela Falà, Giovanni Cereti, Gian Mario Gillio, Emilio Carnevali.


Sotto le due Cupole. Chiesa, religione, mafia (17 settembre 2010), con Augusto Cavadi, don Luigi Ciotti, Alessandra Dino, Giuseppe Leotta, Giovanni Avena.

Dare a Cesare quel che è di Dio. ll Progetto Culturale della Cei nella crisi italiana (1 ottobre 2011), con Mario Campli, Sergio Tanzarella, Paolo Farinella, Maria Immacolata Macioti





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