mercoledì, agosto 03, 2016

Il Califfo

IL TESTO di VALTER VECELLIO
Una villetta a Primavalle a Roma, lui in giardino passeggia e gesticola. Parla a un telefono cellulare, con la mano fa cenno di entrare... Con qualcuno parla di canzoni, di un disco da fare, di come farlo; e intanto fa cenno di entrare in casa. C`è un salone, divani immacolati, poltrone, su un lungo tavolo riviste, giornali; alle pareti quadri astratti, dischi d`oro incorniciati, fotografie in abbondanza, piante ben curate. «Scusate, ma era una telefonata di lavoro, bisogna pur campare, non si vive d`aria...». Indica il cellulare, e ride: «Pensa che coglioni. Sono agli arresti domiciliari, e va bene; non posso uscire, al massimo passeggio in giardino, e va bene; una volta al giorno passa la polizia per un controllo, sempre alla stessa ora. Mi hanno disattivato il telefono, perché non devo avere contatti con l`esterno, vai a capire che pericolo pensano sia, e va bene anche questo. E poi mi lasciano il cellulare? ». Eccolo, Franco Califano. Fino a qualche mese fa, solo un cantante
savventura giudiziaria, anche il carcere, per uscirne comunque sempre assolto, pulito. Alla radio ascolti le sue canzoni, sui giornali dei suoi tanti amori... Poi arriva uno che dice di essere un pentito di camorra, che lo accusa di essere un "cumpariello". Lo arrestano, un filone della stessa mega-in- chiesta napoletana definita "il venerdì nero della camorra", che ha già portato in carcere Enzo Tortora, e con lui centinaia di altre persone (tantissime poi dichiarate innocenti, arrestati per omonimia o assolti per non aver commesso il fatto imputato). Quando è in carcere, prima a Poggioreale a Napoli, poi a Rebibbia a Roma, gli scrivo per capire meglio in che pasticcio si è venuto a trovare. In quelle lettere si sfoga con amara ironia; a volte inveisce, e puntiglioso spiega che sì, in passato ha consumato cocaina, non l`ha mai nascosto; non ha neppure ha mai nascosto la sua amicizia con il gangster milanese Francis Turatello, ma che con la camorra non
«Vuoi bere qualcosa? ». Coca Co- la. «Astemio? ». Birra e pochissimo vino„ balbetto. «E allora meglio la birra; che poi la Coca Cola non ce l`ho neppure...Io mi faccio un caffè, stanotte voglio lavorare sui testi di alcune canzoni». Lo osservo mentre traffica in cucina con la moka, spiega che è sua madre ad avergli insegnato come farlo. La madre che lo ha fatto nascere per caso a Tripoli di Libia: incinta, era partita da Johannesburg per Roma, «ma le acque si sono rotte prima, atterraggio d`emergenza, così nasco a Tripoli. Ma a me della Libia non me ne importa nulla». Mi blocco: stavo per dirgli che anch`io faccio parte dei "tripolini". Parla come se ci si conosca da sempre; al contrario, è la prima volta che ci si vede: «Sai, non sono tanti ad aver avuto il coraggio di di` fendermi, non sono cose che si dimentica- no...». Ti sei fatta un`idea di come sei finito in questo tritacarne? «Secondo me hanno fatto una specie di cambio: hanno cominciato con Tortora, però più andavano avanti, più si infognavano, si rendevano conto che il teorema non reggeva, e allora mettono in mezzo me. Come colpevole sono molto più credibile. Altrimenti non si spiega perché vengo arrestato dopo un anno dall`apertura dell`istruttoria. Ma ti pare che questi pentiti si ricordano di me dopo un anno? Ahò, non sono mica Mario Rossi... Franco Califano camorrista te lo ricordi dopo un anno, e non lo dici subito? Dopo un anno mi hanno tirato in ballo...». Mentre parla, penso che c`è una logica: il Tortora alle vette del suo successo professionale, ascolti record con il suo Portobello, è l`immagine dell`Italia "buona" e "per bene", "l`insospettabile"; e c`è chi comincia a chiedersi con troppa insistenza che Tortora non sia il "mostro" che si dice sia. In tanti cominciano a domandarsi perplessi: «E se fosse innocente? ». Così entra in scena "il Califfo": lui ha quella che si dice la faccia del colpevole; lui sì, in quel giro di "cumparielli" ci può stare; Califano insomma può rendere credibile il teorema che comincia a traballare. Fantasie da inguaribile sospettoso che non si fida neppure della sua ombra e ogni volta che un magistrato o un polizitto ti fa un "favore" si chiede: qual è il suo guadagno? Chissà. Restiamo ai fatti... L`imputazione è grave: associazione per delinquere di stampo camorristico, traffico di droga; già che ci sono ci mettono anche detenzione di armi. camorrista da un giorno all`altro. Una follia. Non conosco nessuno dei miei coimputati o accusatori. Ho fatto spettacoli ovunque, non posso escludere di averne fatto uno anche per dei camorristi. Vai a capire con quali prestanome, magari in qualche locale di proprietà di camorristi, ma come pensi che lo possa sapere? Io bado soltanto ai contratti, ai soldi, e canto». Che mi dici delle accuse di Gianni Melluso che dopo aver calunniato Tortora racconta di vostri mirabolanti incontri... «Questo Melluso che mi accusa l`ho visto per la prima volta quando hanno organizzato un confronto. Io lo guardo e dico: "Ma chi è questo, che vuole? ", e lui: "Franchino, dì la verità, che è meglio... ". Franchino a me... Dice di avermi consegnato non so quanti chili di "roba" a casa mia, a corso Francia, nel sottoscala del numero 84. Io a corso Francia non ci ho mai abitato, e all`84 non esiste alcun sottoscala. Ma vuoi fare una verifica, prima di mettere uno in galera? Vuoi vedere le carte? Tre pagine di istruttoria, che non stanno né in cielo né in terra. Almeno a Tortora hanno riservato centocinquanta pagine...». Non avertene a male, l`hai detto anche tu: come colpevole di queste cose ci stai tutto: amico di Turatello...la droga che non hai mai negato di aver usato, i precedenti arresti... «I precedenti arresti si sono conclusi con proscioglimenti. La cocaina l`ho usata. Ma farsi di cocaina non significa spacciarla, significa che parte dei miei soldi li ho buttati via in quel modo lì, come tanti altri li ho usato per beneficenza; chiedi alla gente di questa borgata, che mi vuole bene e te lo può raccontare. Di Turatello e della nostra amicizia si sa tutto da sempre, sai certo che suo figlio l`ho messo nella copertina di un mio disco, "Tutto il resto è noia"». Come nasce questa tua amicizia con Turatello? «A Milano. Ero stato in carcere, mi ero comportato da uomo, senza rompe li cojoni, non mi lamentavo. Mi stimava per questo, diventiamo amici. Voleva aprire una società di produzione cinematografica intestata proprio al figlio e a me, ma poi morì e non se ne fece nulla. Lo sai, vero, chi ha ucciso Turatello in carcere? ». Pasquale Barra, detto `o animale. Per sfregio gli ha addentato le vi- scere... «Quello era un camorrista. E ti pare che io posso essere affiliato personaggi come quella bestia? ». Dillo ai magistrati, non a me... «Uno schifo di paese, quello in cui ti puoi trovare in queste macellerie... Davvero è incredibile che possano aver creduto a uno come Melluso». E in carcere? «Se non dai fastidio, ti lasciano in pace. Vivi e lascia vivere. Poi certo, io sono sempre "il Califfo"...». C`è chi ne è uscito schiantato: Lelio Luttazzi, hai voglia a dirgli dopo che ci si è sbagliati, intanto il mondo ti crolla addosso... «Ognuno reagisce a modo suo. Io la mia rabbia e la mia amarezza l`ho trasferita in alcune canzoni per un nuovo disco, si intitola "Impronte digitali"».
Prende la chitarra, la voce è quella roca di sempre, impasto di whisky e mille sigarette fumate; canta e strimpella: «Impronte digitali sulla stessa carta. / E il cuore ricucito un po` così così, trapasso quella porta. / M`hanno stracciato i pensieri. / Non certo uomini seri. / Sono solo da tempo e la mia vita mi costa tanto. / Ma non rallento il passo, continuo la salita. /Vedo innocenze ferite con le lacrime agli occhi. I Che tristezza la vita. /Io cerco amore da sempre, vendo solo canzoni. / Non spaccio altro e in ciò che vendo non trovi che emozioni / difficile spiegare che sei uno pulito / quelli che non sanno bene come hai sempre vissuto / se la legano al dito. / Il cuore mio sta pagando chi l`ha colpito nell`ombra. / Vorrei portarlo più in alto / e certe leggi sbagliate scavalcare in un salto. / Io volto pagina e cammino. / E anche se alle volte sono andato contromano. / Non ho ferito mai nessuno. / Voglio anch`io una donna che mi sappia amare / e con i miei amici andare a farmi un avvenire. / Io volto pagina e cammino. / Cosa devo fare non vedere più nessuno / andare sempre più lontano. / Sono ancora solo con il mio destino / vado sempre dritto / ma questo sembra sia un delitto. / Impronte digitali, foto contro il muro. / Un numero sul petto ed i colori addio, diventa tutto nero. / Quando comincia è finita, si paga tutta la vita. / Sei in alto mare e non hai niente nemmeno un salvagente. / Io volto pagina e cammino / e anche se alle volte sono andato contromano / non ho ferito mai nessuno. / Voglio anch`io una donna che mi sappia amare / e con i miei amici andare a farmi
un avvenire. / Io volto pagina e cammino. / Cosa devo fare non vedere più nessuno / Andare sempre più lontano / sono ancora solo con il mio destino. / Vado sempre dritto / Ma questo sembra sia un delitto...». Quando finalmente si celebra il processo, come Tortora, come tanti altri, anche Califano viene assolto: si riconosce che è assolutamente estraneo ai fatti che gli sono stati addebitati. Esce a testa alta dal carcere, è vero. Il problema è che ci entri a testa bassa, e passano settimane, mesi, prima che riconoscano di essersi sbagliati... E dopo averlo fatto, come il magistrato di Detenuto in attesa di giudizio, il vecchio film di Nanni Loy con Alberto Sordi, ti guardano aspettandosi che gli dici «grazie». Grazie per aver riconosciuto che si sono sbagliati... Finora mi sono limitato a trascrivere "in bella" frettolosi appunti presi su taccuini ingialliti dal tempo. Il ricordo però è ben vivo. Fummo davvero in pochi, all`epoca, a osservare che anche per quel che riguardava "il Califfo" i conti non tornavano. Il primo è Gino Paoli: scrive un accorato appello al presidente della Repubblica, per richiamare l`attenzione su Califano, detenuto da mesi, e malato. Scrivo i primi articoli nei quali esprimo qualche dubbio, qualche perplessità; convinco un deputato del Partito Radicale ad accompagnarmi nel carcere di Rebibbia in visita. La consegna, ferrea, è guardare, ma non parlare con nessuno. L`unica cosa che si può fare è lasciare un recapito per chi eventualmente ci vuole scrivere. Qualche giorno dopo arriva una lettera di Califano: «Sono frastornato e distrutto, perché un uomo non è un diamante, non ha il dovere di essere infrangibile... Ho in testa brutte cose...venitemi a salvare, sono innocente, e non è giusto che muoia, che mi spenga così...». Califano racconta che le accuse vengono soprattutto da due "pentiti", Pasquale D`Amico e Melluso. D`Amico poi ritratta. Melluso rincara le accuse. Una fantasia galoppante: Califano, in compagnia di camorristi avrebbe effettuato un viaggio da Castellammare fino al casello di Napoli, a bordo di una Citroen, ma forse era una Maserati, comunque era di sua proprietà. Peccato che Califano in vita sua non abbia mai avuto una Citroen, e neppure una Maserati. Per accertarlo non bisogna essere Sherlock Holmes o Hercule Poirot, ma nessuno si prende la briga di farlo. Queste le indagini; per come state condotte non poteva che finire in una assoluzione piena: per Tortora, per Califano, per tanti altri. Ma a prezzo di sofferenze indicibili e irrisarcibili. Furono pochi a vedere per tempo quello che poteva essere visto da tutti; magra consolazione aver fatto parte di quei "Pochi".

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