martedì, febbraio 16, 2016

L'Oriana Fallaci di Fiamma Nirenstein

Dal settimanale GRAZIA (Febbraio 2015) il ricordo di Oriana Fallaci scritto da Fiamma Nirenstein.


  


 Erano le sei e mezzo di mattina, il pomeriggio prima ero andata a trovare l'Oriana nella sua casa di campagna vicino a Firenze. MI sentii subito stupida, con l'Oriana ti succedeva spesso. Avevo perso la strada più volte prima di arrivare alla bella villa, anzi, l'aveva persa la scorta che mi proteggeva da eventuali attacchi terroristici. Anche lo sfondo dei cipressi e degli ulivi ci univa mentre davanti a noi, unite, si apriva la prospettiva di una crescita verticale del terrorismo islamico e però anche della stupida speranza di inglobarne l'invidia e l'odio accarezzandola e riempiendola di inutili doni.

L'Oriana stava in una villa degna di lei, ma arrivarci dalla 61esima di New York, numero 222, le costava tutte quelle odiose ore di volo senza sigarette che la facevano tanto arrabbiare. Nel pollaio c'erano delle stravaganti galline puntinate da esibizione, le dissi che sinceramente la vedevo meglio a New York e anche lei fu d'accordo; ma l'Oriana è sempre stata anche una signora fiorentina e per questo la sua verità americana, stringata e logica, ha sempre cercato la strada dell'espressione più propria, più letteraria. Mi venne incontro, era già molto malata, io ero preoccupata ma molto contenta di rivederla, anche se era chiaramente una visita urgente, nel segno del suo dramma e del dramma del mondo. Sedute sul divano come al solito abbiamo commentato il mondo arabo, Israele, lo scontro di civiltà, la differenza fra il coraggio americano e la viltà europea... La sua ammirazione per gli uomini che "in quella specie di caffè macinato" delle rovine dell'11 di settembre tiravano fuori "qualche naso e qualche dito" e dicevano "posso permettermi di essere esausto ma non di essere sconfitto", me la rendeva sorella e anche un po’ mamma nel mio amore per un paese piccolo in cui avevo visto i soldati accovacciati per terra con le mani a rastrello che cercavano senza una lacrima, nella sabbia, brandelli dei loro compagni sul confine di Gaza e, anche loro, non si potevano permettersi, e non possono, nessuna stanchezza.
C'erano parecchie cose che ci tenevano insieme, da quando aveva cominciato a infilarsi nel tema dell'Islam mi telefonava ad ogni momento, da quando aveva finalmente capito gli ebrei e Israele, e ce era voluto. Aveva preso a parlare con i miei amici, come Bernard Lewis e tutto il gruppo dell'American Enterprise, dove poi tenne una gran bella conferenza. Anche a mio figlio Benny chiedeva a volte di verificarle un nome o un'informazione.
Mi chiese se volevo fare con lei un libro intervista. Ovviamente ne ero entusiasta, dissi. Lei però aggiunse che avrebbe fatto tutto lei: domande, risposte… Solo l'editing sarebbe stato mio. Le risposi cauta per non irritarla troppo: "Oriana, io sono una giornalista, un'inviata che ha visto tanti posti e scritto tanti libri, ti voglio tanto bene e sono d'accordo con te su tutto, lascia che ti faccia le domande, almeno in linea di massima... Poi tutto il resto ovviamente è tuo. Come faccio a firmare una cosa in cui non ho messo mano, specie con tanti argomenti di cui mi occupo da secoli?" L'Oriana mi disse che mi avrebbe dato la risposta di mattina presto. Ci separammo tristi.
Oggi so che ho sbagliato. Dovevo semplicemente obbedire, ammirare ancora una volta il suo magnifico narcisismo profetico, ero stata pretenziosa, lei sapeva quello che faceva, e comunque si trattava del suo testamento spirituale. Non capii che le sue domande mi sarebbero piaciute quanto le sue risposte. Il nostro era un rapporto profondo: credo che ne abbia avuti molti in sostituzione di una famiglia molto più desiderata di quanto abbia potuto ammettere, e molti finiti con l'amaro in bocca.

Era profondo, il nostro rapporto quando sedevamo insieme nella sua casa di tre piani al 222 della 61esima a parlare di come l'Europa non avesse abbastanza fegato per capire cosa stesse succedendo in Medio Oriente e nel mondo islamico; quando mi aveva preparato per pranzo, tutta fiera, il caviale beluga che poi si era dimenticata in un cassetto e quindi avevamo dovuto fare una frittata; profondo quando mi telefonava in mezzo alla notte qui a Gerusalemme o a Roma per chiedermi un'informazione precisa su questo o quell'evento; profondo quando mio figlio Benny riceveva da lei in regalo un testo prezioso su Napoleone, che a lui da piccolo piaceva tanto come personaggio mentre lei, anche nella dedica, gli suggeriva di considerarlo odioso; intimo quando Benny le avvitò per tutta la casa, dal tetto alla cantina, le lampadine fulminate quasi dappertutto.

 Il film che disegna la vita dell'Oriana è molto accurato nella regia, ambizioso nelle locations davvero evocative della realtà professionale che l'Oriana ha vissuto con coraggio eccezionale, lontane come le destinazioni poliedriche di Oriana, preciso nella memoria di alcuni sui articoli molto importanti come quello all'ayatollah Khomeini nel 79, sorprendente quando si avventura in primi piani amorosi come il bacio fra Oriana e Panagulis nel 73. Vittoria Puccini è audace nel rappresentare la prepotenza, la melanconia, l'intelligenza di Oriana. Ma nell'Oriana l'unicità e la ferocia un po’ smodate erano legate a un senso di debolezza femminile da "antica signora" come a lei piaceva autodenominarsi negli ultimi anni. Ma il fatto è che la sua determinazione e la sua personale solitudine erano sempre presenti nel discorso privato, come un mazzo di fiori segreto offerto ai più vicini, e rappresentare tutto questo non è facile.
Altro è raccontare gli episodi della sua magnifica carriera giornalistica, la sua unicità: ma certamente, per esempio, nel far le domande Oriana, chiedendo quel che voleva, pure modulava il tono, anche se andava in fondo, e non presentava la sua domanda come volontà di potenza. Una giornalista per farsi rispondere deve saper chiedere, e lei lo sapeva fare bene, con la dovuta ingenuità, con il dovuto falso rispetto e l'astuzia di togliersi il chador non per rabbia, ma per insegnare una lezione che è valida fino ad oggi.

Se l'Oriana oggi avesse visto l'Islam estremo tagliare le teste, dare fuoco ai prigionieri, uccidere donne e bambini, buttare gli omosessuali dai tetti, avrebbe certo voluto andare a vedere di persona, magari chiedere: sapeva bene, e l'ha dolorosamente profetizzato, che l'Islam avrebbe adottato la strada di una guerra spietata e potentissima. Sapeva, eppure le faceva male, la tormentava, quel "perché" che aveva sempre negli occhi e che riguardava il dare la morte, il torturare, il perseguitare gli innocenti, l'infliggere leggi mostruose.
Perché? Come si può essere lupo contro il proprio simile, l'uomo?
Ha seguitato a chiedere per tutta la vita "perché": ma, invece di una risposta, oggi abbiamo di fronte la domanda ingigantita, non capiamo cosa conduce l'Isis nella sua sfrenata battaglia per il Califfato, cosa spinge l'Iran verso la bomba atomica... L'Oriana ha cercato di spiegarlo, ma solo oggi forse si comincia a capire la potenza divoratrice dell'Islam che era diventato l'ossessione della più grande giornalista dei nostri tempi.



http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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