lunedì, maggio 27, 2013

un brano da " La Democrazia in America "

Brano tratto da Alexis de Tocqueville, La Democrazia in America (1840), Rizzoli, Milano,
1997, pp. 732-733
Interessante mettera a confronto queste riflessioni col presente, ad un secolo e mezzo di distanza .
AMg

"È probabile che il dispotismo, se riuscisse a stabilirsi presso le nazioni democratiche del nostro tempo, avrebbe un altro carattere: sarebbe più esteso e più mite e degraderebbe gli uomini senza tormentarli.

Non dubito che in tempi di civiltà e di eguaglianza come i nostri, i sovrani riescano più facilmente di quel che siano riusciti a fare quelli dell’antichità a riunire tutti i poteri  pubblici nelle loro mani e a penetrare più abitualmente e più profondamente nella cerchia degli interessi privati. Ma quella stessa eguaglianza, che facilita il dispotismo, lo tempera;  abbiamo visto come, via via che gli uomini divengono più eguali,  i costumi divengano più umani e miti; inoltre, quando nessun cittadino dispone di grande potere e di grandi ricchezze, la tirannide non trova più occasione né campo d'azione su cui esercitarsi. Siccome tutte le fortune sono mediocri, le passioni sono naturalmente contenute, l'immaginazione limitata, i costumi semplici. Questa moderazione universale modera anche il sovrano e pone un limite allo slancio disordinato dei suoi desideri.

[…]
Quando penso alle piccole passioni degli uomini del nostro tempo, alla mollezza dei loro costumi, all'estensione della loro cultura, alla mitezza della loro morale, alla purezza della loro religione, alle loro abitudini laboriose e ordinate, alla moderazione che quasi tutti conservano nel vizio come nella virtù, non temo che essi troveranno fra i loro capi dei tiranni, ma piuttosto dei tutori.
 Credo, dunque, che la forma d'oppressione da cui sono minacciati i popoli democratici non rassomiglierà a quelle che l'hanno preceduta nel mondo, i nostri contemporanei non ne potranno trovare l'immagine nei loro ricordi. Invano anch'io cerco un'espressione che riproduca e contenga esattamente l'idea che me ne sono fatto, poiché le antiche parole dispotismo e tirannide non le convengono affatto.
 La cosa è nuova, bisogna  tentare di definirla, poiché non è possibile indicarla con un nome.

Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una
 famiglia, si può dire che non ha più patria.

Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all'autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell'infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l'unico agente e regolatore; provvede alla loro  sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere?
Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l'uso del libero arbitrio, restringe l'azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l'uso di se stesso.

L'eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li ha disposti a sopportarle e spesso anche considerarle come un beneficio.

 Così, dopo avere preso a volta a volta nelle sue mani potenti ogni individuo ed averlo plasmato a suo modo, il sovrano estende il suo braccio sull'intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore.

 Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all'ombra della sovranità del popolo.

 I nostri contemporanei sono incessantemente affaticati da due contrarie passioni: sentono il bisogno di essere guidati e desiderano di restare liberi; non potendo fare prevalere l'una sull'altra, si sforzano di conciliarle: immaginano un potere unico, tutelare ed onnipotente, eletto però dai cittadini, e combinano l'accentramento con la sovranità popolare.
 Ciò da loro una specie di sollievo: si consolano di essere sotto tutela pensando di avere scelto essi stessi i loro tutori.
 Ciascun individuo sopporta di sentirsi legato, perché pensa che non sia un uomo o una classe, ma il popolo intero a tenere in mano la corda che lo lega."

Nessun commento:

rdo Sciascia su Pasolini