lunedì, aprile 22, 2013

Autoritratto nudo di madre

Autoritratto nudo di madre:
Ispirate dall’Autoritratto in mutande del Pontormo, pubblichiamo alcune osservazioni di Marco Cavalli su Aldo Busi, sulla figura dello scrittore e dell’artista e sulle interpretazioni equivoche che in genere se ne danno.
Nessun autoritratto d’autore, nemmeno il mirabile Autoritratto in uno specchio convesso del Parmigianino cui Busi ha legato il proprio nome sia per averne scritto, sia per aver tradotto la poesia di John Ashbery ispirata da quel quadro – nessun autoritratto meglio di questo del Pontormo sa riassumere in sé ed esprimere la poetica esistenziale ed estetica di Aldo Busi.
Pontormo - uomo in mutande
L’Autoritratto in mutande (1522-25) di Pontormo (1494-1557) custodito al British Museum di Londra, è di una modernità che si può solo chiamare busiana. Come disegno, non soltanto sembra sopravanzare di molto la sua epoca, ma in virtù di uno di quei sovvertimenti temporali che sono prerogativa dei capolavori senza tempo, sembra posteriore all’opera letteraria di Aldo Busi.
Che cosa ci spinge con tanta sicurezza a definire “busiano” l’autoritratto di Pontormo? Innanzitutto la sua nudità, in particolare le mutande al posto del perizoma: un’indicazione inequivocabile di abbassamento di registro. Quella di Pontormo è una nudità casalinga la cui posa non ha niente di statuario e di solenne e tuttavia non è né sgraziata né ciabattona. Poi c’è la qualità di composizione del disegno. La figura è colta di profilo in atto di muoversi con risolutezza verso l’interno del foglio e congiuntamente verso una sua estremità, come se le due direzioni siano convergenti. La mano sinistra sembra spingere una porta il cui battente coincide con il margine del foglio. Gambe e bacino appaiono lievemente protesi in avanti rispetto al torso; uno spostamento accentuato dal simultaneo sollevarsi del braccio destro la cui mano punta il dito indice verso lo spettatore.
È quel dito a fare la differenza. Il gesto, autoriale, evoca quello del Dio Padre michelangiolesco nella Creazione della Cappella Sistina. Ma in Pontormo (come in Busi) la componente comica e prosaica prevale su quella eroica e sublime. Lo provano le mutande antibibliche che denudano la figura del ritratto più che se non le indossasse affatto. Quel dito proteso ha un significato pratico, ricorda le misure che un disegnatore prende al suo soggetto puntandogli addosso la matita. (In effetti, la posizione delle braccia per rapporto al torso ha qualcosa dell’uomo vitruviano: il nudo di Pontormo traccia le coordinate spaziali della propria raffigurazione.)
Il dito-matita è puntato al livello del piano o dimensione in cui si trova lo spettatore. Lo prende di mira, istituendo così un collegamento tra lo spazio esterno al disegno e quello racchiuso nel disegno. L’impressione è che, un istante prima di spingersi al di fuori della cornice, la figura suggerisca allo spettatore che lo spazio da lui occupato è il medesimo in cui la figura sta per traslocare. Essa sembra voler dire: “Tra un istante vi raggiungo”; oppure: “Tu mi vedi qua ma io sono là dove ti trovi tu”. Oppure, in soldoni: “Questo ritratto che osservi è il tuo”.
Nel convergere della figura verso l’interno del foglio e insieme verso il suo margine estremo, va ravvisata secondo noi la modernità busiana dell’autoritratto di Pontormo. Come a dire: più stai al linguaggio dell’artista, più esci dall’interpretazione ingenua dell’opera e del suo autore; più ti addentri nell’opera d’arte, più ti espandi all’esterno, nel mondo.
Domenica 21 settembre 2007, ore 18,  teatro Verdi di Pordenone, si inaugura l’ottava edizione di “Pordenonelegge”: Aldo Busi sale sul palcoscenico, non degna di uno sguardo tavolino e poltrona e bottiglia di minerale preparati per lui e sotto gli occhi increduli della platea incomincia a spogliarsi con gesti svelti, pratici, per niente ammiccanti. Si toglie tutto, camicia, pantaloni, scarpe, calze, fino a restare in mutande – semplici mutande di cotone nero con la bolletta (più fantasticata che altro, quest’ultima, dato il colore delle mutande). Tenendo indosso solo quelle e un microfono ad archetto, parla per oltre un’ora e mezza di politica, letteratura e costume, cioè di establishment nostrano. Con la forza delle sue parole tiene avvinti gli spettatori e soprattutto riesce a confinare sullo sfondo la propria sconcertante nudità – o quanto meno a cambiarle di segno. Dopo un quarto d’ora di monologo, quello spogliarello estemporaneo è diventato per tutti i presenti, nessuno escluso, un elemento tra i tanti del discorso di Busi, e nemmeno il più rilevante. La nudità di Busi ha scoperto la sua matrice retorica.
Aldo Busi in mutande“Le mutande no, perché per me è più intimo e difficile tenerle che calarle”
[Aldo Busi a Pordenonelegge]
Mentre si sveste, Busi grida verso il pubblico una frase, una specie di slogan narratologico: “L’auto-re è nudo!”. Una citazione ermetica ai più, una chiave di lettura in cifra simile al dito che l’autoritratto in mutande di Pontormo punta nella nostra direzione, e che da solo non si spiega e non basta a spiegare il disegno.
Come sempre nella grande arte, il riconoscimento presuppone uno straniamento. Chi guarda l’autoritratto di Pontormo deve credere di vederci il suo autore prima di interrogarsi sulla forma in cui l’autoritratto si presenta e rimetterne in discussione la prima lettura.
Per portare il pubblico nella posizione indicata dall’autoritratto di Pontormo, cioè nel solo punto da cui è possibile capire che l’autoritratto del pittore è il ritratto di chi lo guarda, Aldo Busi si mette a nudo. Un nudo eloquente perché preliminare a un discorso sullo stato di indigenza culturale e politica degli italiani, discorso che sta allo spogliarello d’autore come le mutande di Pontormo al resto dell’autoritratto.
Un nudo figurato, simbolico, da cui traspare l’intransigenza di Busi nell’attenersi al suo proprio linguaggio anche al di fuori della pagina scritta, per cui la rappresentazione di sé più conforme agli estremi di spettacolarizzazione ammessi e tollerati si presta a essere decifrata solo a patto di leggerla come la continuazione, in contesti altri, di un discorso che non è mai, in nessun caso, autoreferenziale.
Un nudo plateale, che dice: “Io Aldo Busi sono qui in mutande perché a differenza di voi non ho niente da nascondere. Perciò, pur sfilando sul palco inerme e denudato sotto i vostri sguardi divertiti e scandalizzati, resto regale e dignitoso. La mia nudità non è indice di sudditanza e di miseria: è la prerogativa di uno scrittore che, essendo prima di tutto sovrano di se stesso, padrone (auto-re) della propria vita, può concedersi il lusso di apparire in mutande  e di prendere la parola in pubblico senza timore di togliere autorevolezza e qualità alle sue parole; anzi, facendo in modo che la nudità in mutande dello scrittore entri a far parte del suo stesso discorso. Un discorso indirizzato a voi, ridotti in ben altre braghe di tela le quali, se non vi saltano agli occhi, è perché rifiutate di identificarle. E se rifiutate di identificarle, è perché sapete riconoscerle solo in chi ve le presenta e rappresenta.”
Poiché Busi ci ha messo in grado di farlo, oggi possiamo definire l’Autoritratto in mutande di Pontormo un’opera di letteratura anche se il linguaggio di Pontormo è quello del disegno. È un’opera di letteratura perché la forma che Pontormo sceglie di dare al suo autoritratto diventa l’unico ritratto accessibile dell’artista; la forma e solo la forma del ritratto, nient’altro. Non cercarmi nel disegno, sembra dire Pontormo: cerca te stesso col disegno. Disegnati da par tuo servendoti di me.
Perché un uomo qualsiasi possa diventare uno scrittore (un auto-re) deve prima sgombrare ogni falsità con se stesso […]. Lo scrittore è Dio perché è uno e nessuno: se poi vuole essere qualcosa di più – un grande scrittore – deve essere almeno centomila, e Dio uno dei tanti.” (Sodomie in corpo 11, Mondadori 1988, pp. 157-158)
Marco Cavalli

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